Alluvione, l'ingegnere Orsenigo: “Ricostruiamo in modo sostenibile o non riusciremo a combattere il cambiamento climatico”
Il presidente di Ais sottolinea che ci troviamo a un bivio e che in futuro serviranno infrastrutture pensate in modo diverso, anche per resistere a queste criticità. Ma in Italia mancherebbero gli ingegneri per farle
“O saremo sostenibili o non saremo. Credo che quello accaduto in Toscana, la dica lunga”. Lorenzo Orsenigo, presidente dell'Ais, associazione infrastrutture sostenibili, non usa mezzi termini per far capire che o si decide di cambiare mentalità sulle infrastrutture da fare e quelle presenti in Toscana e in Italia, oppure probabilmente avremo sempre maggiori difficoltà a combattere gli effetti del cambiamento climatico come quelli dovuti alla tempesta che .
Pianificare su larga scala
Il cambiamento da attuare è legato anche a un'idea di continuità delle opere. Fare ad esempio una grande opera credendo solo con quella di salvaguardare un territorio senza pensare a tutte quelle collaterali che vi sono legate, non sarebbe di aiuto a prevenire i disastri. “Non è che fare qualche infrastruttura con criteri di sostenibilità risolve il problema – sottolinea Orsenigo - Aiuta ma non è esaustivo. Bisogna considerare il territorio come una infrastruttura e gestirla con criteri di sostenibilità. Va fatta una pianificazione delle opere da realizzare sul territorio per avere risultati almeno sul medio periodo. Ci vogliono investimenti nel tempo e non si può pensare di agire puntualmente. Se metto in sicurezza un torrente ma ne ho altri dieci che non lo sono, non ho risolto il problema”.
Ricostruire in ottica di sostenibilità
Anche eventuali nuove infrastrutture nelle zone della piana colpite, dovranno probabilmente essere fatte con un'ottica di sostenibilità. In tutta Italia oggi le infrastrutture che possono godere di un certificato internazionale di sostenibilità sono solo 9. “Nel mondo sono circa 160, è un fenomeno che sta crescendo ma è partito da poco - specifica Orsenigo - Anche le infrastrutture possono essere di ausilio a sostenere il territorio e aiutarlo. È stato fatto il progetto della Napoli-Bari che prevede ad esempio sistemi di monitoraggio per il dissesto idrogeologico”. Bisogna pensare che tempeste del genere si potrebbero verificare di nuovo. “Quando progettiamo un'opera – osserva il presidente di Ais – dobbiamo ragionare anche in ottica di resilienza. C'è un cambiamento climatico in atto e il riscaldamento globale renderà ancora più violenti questi fenomeni. Dobbiamo cercare di incidere in maniera limitata, minimizzando l'utilizzo di suolo vergine. Anche quando ricostruiamo, prima di erodere nuovo terreno, preoccupiamoci di fare monitoraggio e fare infrastrutture su terreni già utilizzati. Dobbiamo inoltre imparare che pianificando gli interventi, gli effetti non si vedranno subito ma tra 10-12 anni. Ma se mai partiamo, mai li avremo”.
Un'emergenza nell'emergenza
Per affrontare la fragilità dei territori, si dovrà intervenire rafforzandoli. L'Ais ha realizzato due documenti di posizione sulla questione, stilando linee guida per raggiungere livelli di maggiore e concreta sostenibilità relativamente a 11 ambiti, dal consumo di acqua, alla riduzione dell’impronta carbonica, fino alla digitalizzazione. Per fare nuovi progetti o modificare quanto abbiamo in Italia, ovviamente servono professionisti. Che mancherebbero. Stando ai dati, già oggi il numero di ingegneri addetti è gravemente insufficiente a soddisfare richieste ed esigenze in tema di protezione dai rischi. E in futuro potrebbe essere peggio: a livello nazionale i laureati in ingegneria civile ed ambientale, scienze e tecniche registrano un calo costante: nel 2010, quelli di primo livello del settore civile ed ambientale erano circa il 40 per cento di tutti i neo-ingegneri. Oggi si attesta sul 15. “Abbiamo meno figure professionali come laureati in ingegneria – sottolinea Orsenigo – dobbiamo riuscire a incentivare i giovani a scegliere queste materie. Oggi le tematiche che interessano molto sono digitalizzazione e sostenibilità. E le cose vanno di pari passo pensando a manutenzione predittiva invece di ordinaria. C'è da sperare che ne aumenti il numero perché le infrastrutture sono e saranno sempre più un settore fondamentale per il nostro paese di cui bisogna considerare nuovi parametri di progettazione legati al territorio e alle sue potenziali criticità”.