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Domenica, 28 Aprile 2024
Politica

Scontro nel Pd. Renzi teme "giochini", la Bindi "primarie di coalizione"

Renzi parla al Pd e chiede primarie libere. La Bindi spinge per le primarie di coalizione. E Bersani: doppio turno. Sullo sfondo lo spauracchio per il sindaco delle liste elettorali

Che il sindaco rottamatore stia provando a scardinare la porta d’accesso per la segreteria del partito democratico, e di lì puntare a diventare premier, è ormai noto. Già con la Leopolda 1, al fianco di Civati, e poi con il Big Bang, e il relativo wikiPd(?), ha scoccato frecciate a raffica verso il sud, in direzione Capitale. La settimana scorsa, tuttavia, la svolta, quando lo stesso segretario del Pd ha annunciato l'apertura sulle primarie. Renzi così ha subito acceso i motori per una campagna elettorale tutta da inventare, a patto che Bersani mantenga la promessa del tutti contro tutti: competizione aperta e libera. Un patto che sa di attesa; l’entourage fiorentino in sostanza sta attendendo di capire da quanti paletti sarà formato il recinto della partita. C’è da capire i come, più che i perché.

DOPPIO TURNO – Bersani ieri sera, ospite ad ‘Otto e mezzo’, è ritornato sul tema avanzando una proposta più circoscritta di quella fatta la scorsa settimana alla direzione nazionale del Pd. Primarie si, ma a doppio turno. Prima quelle interne al Pd, poi di coalizione; il tutto dopo aver cambiato lo statuto del partito che prevede sia il segretario in pectore a correre per la leadership. Una prospettiva “sensata”, ha sottolineato. Cosa cambierebbe per Renzi? Molto o moltissimo. Molto: il peso di Renzi all’interno del partito non è paragonabile al successo trasversale che sta ottenendo in tutto il paese. Moltissimo: se a votare fossero solo i democratici, o attraverso la tessera o tramite la compilazione di liste elettorali (albo o registro in stile Stati Uniti) precedenti alla primarie, un’ipotesi che nelle ultime ore sta prendendo sempre più corpo, il sindaco di Firenze rischierebbe di essere stritolato da quelle dinamiche chiamate in gergo logiche di partito. Le stesse su cui ha picchiato incessantemente negli ultimi due anni. Renzi in questo eventualità dovrebbe scontrarsi con un muro apparentemente insormontabile: quel corpo elettorale strutturato, e quindi poco incline alla dinamica, che ‘abita’ nella pancia del partito.

BINDI – Non a caso ieri all’auditorium Stensen il vicepresidente della Camera e presidente del Pd, Rosy Bindi, a margine di un'iniziativa organizzata da ‘Libertà e Giustizia’ e ‘Politica e Società’ ha indicato quella che sarebbe, o meglio ribadito a distanza di un anno, la linea del partito democratico. Primarie di coalizione, senza tuttavia tralasciare le regole “compreso lo statuto del Pd che non prevede la partecipazione di altri iscritti al partito per le primarie per la scelta del candidato premier”. Traducendo il Bindi pensiero: una barricata per il sindaco Renzi, che in questo orizzonte non troverebbe spazio, visto che l’opportunità di corsa si restringerebbe alla foto di Vasto: Vendola, Bersani e Di Pietro. E chissà, quando gli schieramenti saranno definiti e perimetrati, se ci sarà la possibilità per qualcuno dei centristi. La Bindi per questo ha ricordato che “abbiamo votato la relazione del segretario che ha indicato un processo ben preciso: prima di tutto una nuova legge elettorale, poi una grande fase di elaborazione programmatica aperta a tutti quei partiti con i quali intendiamo fare un’alleanza di centrosinistra aperta ai moderati di centro, con i movimenti, con potenziali liste civiche. Dopo tutto questo vedremo come fare le primarie”.

RENZI – Che il sindaco fiorentino ora si senta un po’ assediato ed alla strette si intuisce dalle parole rilasciate questa mattina a Radio Toscana: “Credo che le primarie saranno libere, aperte e democratiche, e che saranno ad un turno solo”. Nonostante questo convincimento ha comunque auspicato che “non ci sia nessun giochino per impedire la partecipazione”. La paternità dei giochini, secondo Renzi, è nota: D’Alema, Marini, e da ieri anche la Bindi.

SEGGIOLONI – Per questo Renzi dalla difesa passa all’attacco e ribadisce il confine che non vuol attraversare: “Nessuna intenzione di mischiarmi ai seggioloni, seggiolini, seggioletti, seggiolucci romani: non c’è il desiderio di posare le delicate terga in un seggiolone romano”. “Bersani – ha detto ancora – a cui bisogna dire grazie, e il Pd hanno scelto, pare, di far passare la scelta del candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi non con un ‘accordicchio’ o un ‘inciucione’ tra gruppi dirigenti”. La speranza di Renzi è che le premesse di venerdì siano mantenute. A quel punto “si apre uno spazio”. Ma per chi?

CANDIDATURA – Si o no alla discesa in campo? Venerdì sembrava una domanda retorica, scontata, un di più. Dopo il rimescolamento delle carte di queste ultime ore, tuttavia, la paura di un’imboscate è tanta. Così butta nella mischia due condizioni alla candidatura, tanto per esser chiari: “Primarie libere, aperte e democratiche” ed una discussione seria tra i “ragazzi e sindaci che in questi anni hanno detto di volere un’Italia entusiasta e che ha fiducia”. Insieme “decideremo chi sarà il candidato”. Con l’ennesima precisazione, già rimarcata il giorno dopo la direzione nazionale del Pd: “Se sarò io, lo sarò da sindaco di Firenze, cioè non mi dimetto da sindaco per entrare in Parlamento”.

PRIMI SONDAGGI – E appena si parla di scontri elettorali per il vertice, nel breve, puntuali, sono usciti i primi numeri dei sondaggi. Secondo uno studio pubblicato ieri da Digis S.r.l., Renzi non risulterebbe in scia al suo segretario. Bersani infatti è dato al 31%, seguito da il leader di Sel Vendola  al 23%. Solo terzo il primo cittadino, attestato del 19%. Dodici punti indietro; non proprio il cosiddetto fiato sul collo al vertice. Allora perché tutte queste polemiche? Numeri prematuri o la consapevolezza che la macchina elettorale di Renzi, una volta rotti gli indugi, potrebbe condurlo in testa al gruppo?

 

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