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Lunedì, 29 Aprile 2024
Politica

Renzi e le primarie: "Se perdo resto a fare il sindaco di Firenze"

Il sindaco all'indomani dell'apertura di Bersani guarda al suo mandato: "Se perdo le primarie, oppure le vinco ma perdo le elezioni, rimango a fare il sindaco di Firenze"

Matteo Renzi e le primarie il giorno dopo. Ieri l’apertura di Bersani ad un sfida aperta e presumibilmente di coalizione che raggruppi moderati e progressisti. Una soluzione più che gradita al sindaco di Firenze che già nella tarda serata tesseva elogi al coraggio del segretario e prometteva battaglia: “Bene Bersani che propone primarie libere: ci confronteremo su idee e sogni per l’Italia di domani. Mandando a casa chi ci ha ridotto così”. Come al solito il plurale, mai al singolare. Perché, anche ora, dopo la decisiva apertura di Bersani, e dopo aver incassato una vittoria piena a dispetto della nomenclatura del partito, ancora si pone all’interno di quel tatticismo inaugurato lo scorso autunno alla Leopolda quando, nell’attesissimo discorso di chiusura del Big Bang, spiazzò quasi tutti con quel “uno di noi si candiderà”? Nessun apparente trionfalismo, calma ed un richiamo ai propri doveri pubblici fari. Tutto qui. Perché? Tempo e ‘imprevisti’.

Il tempo: quella di Bersani è una proposta. Certo non si tratta di acqua gassata e rimane un’apertura dal peso specifico rilevante, ma è pur sempre una proposta. Assumerà concretezza solo dopo il voto dell’assemblea nazionale del Pd, del prossimo 6-7 luglio. Si perché nella due giorni i delegati del partito saranno chiamati a cambiare quello statuto tanto odiato e tanto amato, più volte bistrattato altre tirato per la giacca come riparo da tutti i mali, che oggi prevede sia il segretario il naturale candidato in caso di elezioni. L’operazione Bersani (di conseguenza i progetti di Renzi) ha bisogno di questo passaggio ‘burocratico’ indispensabile. Senza, non si tratterebbe altro che di fumo.

Ci sono poi una serie di fattori che Renzi non può permettersi di tralasciare, definibili con una dicitura astratta, ‘imprevisti’. Come D’Alema che nutre forti perplessità sulla linea adottata dal proprio segretario. Del tipo sì alle primarie ma inter nos, dentro le mura di casa, tra i nostri iscritti. Un’ipotesi che Renzi ha sempre bollato come un vero e proprio tradimento alla filosofia stessa che ha mosso il partito verso questo meccanismo. Le primarie cioè come strumento di forza propulsiva dal basso, “non quelle dove si sa già chi vince”. Ma D’Alema non è solo ed ha il suo peso.

Così, al di là delle proposte, del dibattito in corso, delle buone intenzioni e degli schieramenti pronti a darsi battaglia, Renzi prende tempo, si nasconde dietro ad un ‘finto’ plurale in attesa di apprendere, nero su bianco, le regole del gioco. Sa che in questo passaggio si giocherà tutto; per adesso quindi calma e gesso. Almeno all’apparenza visto che la ‘corrente’ Renzi starebbe già tessendo la tela orchestrata dal fidatissimo Giorgio Gori, che, a quanto pare, starebbe già organizzando circa 700 comitati in altrettante città con oltre 15mila abitanti. Tutti i nodi comunque si risolveranno a stretto giro, e vedendola partendo da lontano la candidatura appare come un passaggio scontato; un plurale che nel giro di una conferenza stampa si trasformerà in un singolare. Alla fine Renzi, è pressoché certo, sarà della partita.

QUESTIONE FIRENZE – E nel capoluogo toscano, a Firenze, cosa è cambiato dopo la giornata di ieri? Per Renzi poco o niente. Il suo è un pensiero chiaro: “Se stiamo alle parole di Bersani e non a quelle di D’Alema e Marini, saranno primarie libere e aperte, si svolgeranno entro l’anno e alla competizione si candiderà anche Bersani. Se si realizzeranno questi tre elementi verificheremo la mia candidatura”. Di una cosa tuttavia l’attuale sindaco è certo: “Non mollo Firenze per fare il parlamentare o il ministro”. E da qui i se ed i ma. I se di Renzi ed i ma di Patrizio Mecacci, segretario metropolitano del Partito Democrati. Partiamo dai ma, quelli di Mecacci riportati questa mattina sulle pagine dell’Unità: e se Renzi perdesse la sfida lanciata al Pd ed alla politica italiana, potrebbe tornare a fare comodamente il sindaco? Per Mecacci, no. Come dire: se Renzi farà il passo nazionale correttezza vorrebbe non sfruttasse poi il paracadute di Palazzo Vecchio. Una posizione lontana anni luce dal primo cittadino gigliato.

E qui comincia il festival dei se: “Se mi candiderò, se vincerò le primarie, se vincerò le elezioni, è un film”. Tradotto, se alla fine di questo cammino lungo una anno, Renzi dovesse scoprirsi premier lascerebbe Firenze per accomodarci in Palazzo Chigi. A quel punto l’ultimo anno della legislatura traslerebbe al vice sindaco Dario Nardella, secondo quella pratica definita decadenza legislativa: “Firenze non andrebbe ad elezioni anticipate, tornerebbe a votare alla naturale scadenza del mandato, nel 2014. E non cambierebbe una virgola dell’attuale amministrazione, rimarrebbe integra”. Tranne chiaramente il vertice, cosa non da poco, visto la tipologia di legge elettorale che disciplina i comuni, in cui, in un certo senso, la città da un mandato ‘personale’ al sindaco. Così Renzi pone sul piatto della discussione un interrogativo: “Pongo a tutti questa domanda: se tutti questi se si verificassero ed un fiorentino diventasse premier, per la città di Firenze sarebbe peggio o meglio?”.

Ma c’è un altro scenario, quello adombrato da Mecacci: la sconfitta politica. Cosa fare dopo, tornare a Firenze a con le pive nel sacco o automaticamente la scelta romana, al di là di come finirà, chiude l’esperienza fiorentina? “Per oggi  - conclude Renzi – il punto non si pone. Se perdo le primarie, oppure le vinco ma poi perdo le elezioni politiche, rimango a fare il sindaco di Firenze, se i fiorentini lo vorranno. Si andrà a votare nel 2014 e nessuno sta lavorando su una data diversa. Lì i fiorentini mi diranno si o no. La decisione di chi sarà il prossimo sindaco di Firenze la prenderanno i cittadini. La scelta di un sindaco, fortunatamente, è sottratta alla scelte del segretario del partito”.
 

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