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Storia del castagnaccio, il “dolce poco dolce” nato in Toscana

Solo farina di castagne, acqua e olio nella ricetta originale nata da ingredienti poveri. Diffusa in tutto l’Appennino, è una torta che si sposa bene anche col salato, come dimostrano le versioni di chef e pasticcieri

Nient’altro che farina di castagne, acqua, olio e un pizzico di sale. Quella riassunta non è la ricetta di una minestra, una zuppa autunnale o una frittella da impastare con pochissimi ingredienti, ma — inaspettatamente — proprio di un dessert. Parliamo del castagnaccio, una torta di tradizione plurisecolare nata in Toscana ma diffusa nelle campagne e sui rilievi dell’Appenino, con molte varianti regionali e piccole aggiunte che l’hanno resa più moderna. Tutta la storia.

Castagnaccio toscano

La storia del castagnaccio, “dolce poco dolce” toscano

Nelle regioni del centro-nord, la coltivazione del frumento non è mai stata cosa semplice. La pasta di semola, ad esempio, è diventata comune giungendo dal Sud solo nel secondo dopoguerra, mentre tra le fonti di carboidrati si ricorreva piuttosto al mais, al grano saraceno (nelle zone alpine) e, appunto, alle castagne. In particolare nelle zone montane dell’Appennino, dove i castagneti, in autunno, erano generosi di frutti da consumare interi o trasformare in farina per gli impasti. Naturalmente dolci e ricchi di amido, non è stato necessario aggiungere né zucchero, burro o uova — ingredienti in passato pregiati e costosi — per ottenere una torta semplicissima e nutriente. Dei suoi primi esemplari resta traccia sul Commentario delle più notabili et mostruose cose d'Italia e di altri luoghi, un curioso volume del 1553.

Preparazione del castagnaccio, ph. Sara Varlani

Ortensio Landi, il suo autore, ne dedica una sezione agli “inventori delle cose che si mangiano e che si bevono”, citando Pilade da Lucca, come “il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda”. Non si esclude che chi poteva arricchisse il dolce con un po’ di miele, e via via anche con rosmarino, oggi importante nella ricetta toscana per bilanciare il sapore con le sue note balsamiche. Il castagnaccio, però, fa parte di quella categoria (oggi molto apprezzata) dei “dolci poco dolci”, al punto da essere raccontato dal medico bolognese Vincenzo Tanara nel 1644 in varianti che prevedevano l’aggiunta di Parmigiano e cacio “grasso e tenero”. Nel XIX secolo la ricetta prese a circolare altrove, incorporando uvetta e frutta secca, specie noci e pinoli. Pellegrino Artusi tuttavia inserisce “il migliaccio di farina dolce, volgarmente castagnaccio” tra i suoi “tramessi”, cioè le portate a cavallo tra dolce e salato che servivano a intervallare le pietanze durante un banchetto.

Il castagnaccio e le sue varianti regionali

Una pastella morbida che si versa in una tortiera e cuoce (senza lievito!) finché la superficie, ben cosparsa di olio, non appare screpolata: oggi il castagnaccio è un PAT, prodotto agroalimentare tradizionale di Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte e Lazio. In Lunigiana la patona o castignà resta molto sottile, nel lucchese c’è la torta di neccio e a Livorno è detta anche toppone, e può essere spessa fino a 3 cm. C’è poi il migliaccio (da miliaceus, termine latino che indicava molte ricette a base di pastella morbida) o ghirighio della Piana Fiorentina.

Il castagnaccio di Max Mariola

Mentre in Liguria non si prescinde da pinoli e uvetta, e alcuni ci mettono anche semi di finocchio, in Piemonte si aggiungono mele renette, latte e miele e a volte amaretti sbriciolati. Al Sud, il castagnaccio si arricchisce di scorze di arancia, cedro candito e vino cotto, con la versione campana che prevede castagne lesse e addirittura cioccolato. Una preparazione dalle molte anime, quindi, che si può servire a fine pasto insieme a crema inglese o a un bicchiere di vino dolce, oppure usare come accompagnamento a salumi e formaggi

Le interpretazioni moderne del castagnaccio

Popolare e domestico, il castagnaccio, ma abbastanza versatile da ispirare la rilettura di bravi chef e pasticcieri. C’è stato ad esempio quello con rosmarino e zucca di Roberto Conti e Aurora Storari, che durante la loro permanenza al Trussardi alla Scala di Milano l’hanno proposto con gelato al rosmarino, la dolcezza autunnale della zucca e una nota agrumata di polvere d’olio.

Il castagnaccio con gelato al rosmarino e zucca di Roberto Conti e Aurora Storari ai tempi di Trussardi alla Scala

Lo chef genovese Ivano Ricchebono al suo The Cook lo rende più goloso con una percentuale di zucchero, utile anche per creare una crosticina in superficie, mentre il romano Max Mariola si attiene alla tradizione, con una manciata di rosmarino e uva passa. Nel borgo senese di Rocca d’Orcia, chef Marcello Corrado dell’Osteria Perillà lo propone in forma di cremoso di marroni, con gelato al rosmarino e pinoli tostati, mentre alla gelateria Casalini di Castagneto Carducci diventa una crema fredda disponibile in autunno.

Castagnaccio, cremoso di marroni, gelato al rosmarino e pinoli tostati di Marcello Corrado, Osteria Perillà

All’Antico Forno Roscioli di Roma si usano farina di castagne del Monte Amiata e uvetta ammollata nel latte; il Maestro pasticciere Iginio Massari invece impiega anche noci e scorza di limone, per un accento in più. Ma è forse l’interpretazione dello chef umbro Gianfranco Vissani a stupire per fantasia: il castagnaccio, per lui, serve per farcire dei gamberi crudi, insieme a crema e olio di pecorino.

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