Vernissage mostra fotografica "Ten Years & Eighty-seven Days"
Dopo un’attesa che dura in media dieci anni e ottantasette giorni , titolo questo, Ten Years and Eighty-Seven Days, che ho scelto per il mio lavoro, i condannati vengono giustiziati. Vivono tutto questo periodo in solitudine, in contatto con il mondo solo attraverso una radiolina da tavolo, dei libri e gli atti legali che li riguardano. Questi pochi privilegi li ricevono esclusivamente se si attengono con buona condotta a tutte le regole di vita carceraria prestabilite. Passano 3.737 giorni in media così, talvolta più di 20 anni, non sempre e indubitabilmente colpevoli.
Le mie immagini sono il frutto delle loro parole: le ho scattate pensando anche a chi è restato, ai familiari di chi è stato giustiziato. Non mi sottraggo alla consapevolezza dell’efferatezza spesso incontestabile del crimine, così come d’altro canto, constato a volte l’assenza di crudeltà e premeditazione. In ambedue i casi e così anche in tutte le innumerevoli sfumature di ogni singolo episodio, mi chiedo: su quali sentimenti e ragioni si regge nel XXI secolo, nel ricco ed evoluto Texas, la pratica così arcaica dell’esecuzione?
Sono moltissime le nazioni in cui vige questa condanna definitiva e barbara. Tuttavia, il Texas è uno Stato democratico, fa parte di una confederazione di Stati di un Paese che si propone quale modello di democrazia liberale, di difesa e rispetto dei diritti umani: la condanna a morte non dovrebbe solo non essere tollerata, ma neppure contemplata. Ogni cittadino dovrebbe sentirsi non rappresentato, da uno Stato che usi il suo potere per uccidere un uomo, colpevole o innocente che sia.