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Seduta a pranzo alla mensa aziendale guardo con invidia chi si sbafa un bel piatto di pasta. E poi lo dico ad alta voce “Beato te che ti magni ‘sti spaghetti”. “Stai già pensando alla prova costume?”, mi replica lui squadrandomi. In effetti le feste di Natale mi hanno regalato un viso più tondo.

Eppure, per qualche attimo, lo guardo senza capire. Poi realizzo. “No, sono intollerante al glutine”, rispondo.
Mi metto a capo chino e finisco la mia insalata. Mentre rientro in ufficio, con le mani ficcate nel cappotto perchè oggi, checchè ne dicano, è un freddo birbone, mi viene da pensare alla “prova costume”.

Da quando sono mamma di tre bambini il significato di tante parole è cambiato.

“Hai dormito?”
Tradotto: “Ti hanno lasciato dormire?”

“Che silenzio stasera, vero?”
Tradotto: “Cosa diavolo stanno combinando???!!”

“Hai passato un buon weekend?”
Tradotto: “Tutti sani? Virus particolari”

“Che si cucina?”
Tradotto: “Quanto vogliamo ingrullire per farli mangiare?”

E così via...

Anche la prova costume nella mia testa non significa più il momento di svelare a tutto il popolino della spiaggia l’esito di tante ore di GAG in palestra (dove peraltro non metti più piede), ma il momento in cui tiri fuori i costumi di carnevale e i tuoi figli se li provano più e più volte. E te ridi perchè sono buffi, divertenti, spensierati, e ti fanno sembrare che, alla fine, essere genitori è la cosa miglior che potesse capitarti.

E pensi che in una società iperindividualistica come la nostra, dove esiste solo il sè e il noi si è perso, e perdendosi il noi si è perso il futuro, perchè il futuro non è niente altro che un noi futuro più grande, essere genitori ti stacca da questo io ingombrante piccolo e petulante su cui investiamo ogni nostra energia.

Perchè esiste tutto un mondo là fuori. Ci sono gli altri, i figli, un futuro che sarà senza di noi. Ed io, prima di diventare madre, ero miope e vedevo solo il mio piccolo tempo. E la prova costume era solo una prova di vanità. Ora è una prova di amore.