Ucciso a coltellate in Via Faenza: da cosa nasce il raptus omicida?
L'analisi del Dottor Loris Pinzani
È per costrizione (come quella necessaria per difendersi) o per lucida follia che gli individui sono in grado di impugnare un'arma bianca e affondarla nel corpo di un proprio simile; molto meno ne serve nel premere un grilletto. Quello che consiste in questa cruenza richiede per natura psichica uno sforzo che l'uomo non saprebbe impiegare se non tramite la follia distruttiva. La rabbia che sprigiona un individuo in questa condizione lo rende capace di non sentirsi colpevole. Questa notte un uomo è morto, ucciso da un suo simile. Poco importa la loro origine; si tratta di uno in più, rispetto ai tantissimi che per lo stesso motivo di inefficacia umana se ne sono andati fino a oggi. Questa notte un uomo è morto proprio con un coltello che gli è affondato nella carne. Subito dopo una parte della società lo ha (inutilmente) soccorso.
La violenza di oggi è diversa da quella del passato per molti motivi, essa si esprime in una città come altre, simbolo di una civiltà che vanta sempre meno certezze, sempre maggiori disparità sociali, dunque psicologiche. Questa è la situazione a cui oggi si deve far fronte e che suscita la sensazione della gente, persa di fronte al nemico peggiore di qualunque aggregazione: la violenza dilagante, di cui ognuno può restare vittima, anche senza colpe.
Lo stesso fatto di esserne spettatori comporta di subirne le conseguenze educativamente disastrose. Anche se i nostri figli non fossero mai di fronte a quel coltello, lo avranno in un certo modo subìto, avendone avvertita la bruciante paura, nascosta da un'apparente tranquillità. Ne sarà frutto un terrore maggiore, interno e bruciante. Persistente nell'intimo della propria personalità, simile alla paura che per natura si ha del buio o dell'acqua profonda.
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