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'SanPa Luci e Tenebre di San Patrignano', Pieraccioni commenta la serie: "Penso solo alle luci di quel racconto"

Anche Enrico Mentana ha commentato il post di Pieraccioni raccontando della morte di un suo amico ucciso dall'eroina

A fine 2020, il 30 dicembre, Netflix ha rilasciato il documentario "SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano". La serie della durata di cinque ore è stato distribuito da Netflix in 190 Paesi. 

"Nascita", "Crescita", "Fama", "Declino" e "Caduta", questi i titoli degli episodi, raccontano la storia di San Patrignano, comunità di recupero per tossicodipendenti (e per persone che soffrono di altre dipendenze) fondata nel 1978 e attiva ancora oggi, ma il documentario copre un'arco temporale che arriva fino al 1995. 

La serie in queste settimane è stata molto discussa e l'opinione si è spaccata a metà tra chi riconosce il fondamentale supporto ai tossicodipendenti e alle loro famiglie e chi condanna i metodi di Vincenzo Muccioli, il fondatore di SanPa.

Leonardo Pieraccioni tramite i social ha detto la sua sulla serie: 

Anche io ho visto “SanPatrignano luci e tenebre” e ora, ripensandoci dopo qualche giorno, mi tornano in mente solo le luci di quel racconto. La potenza di una vita salvata contro la tragedia di una morte (quasi) sicura. Si, penso a quello e credo che quel progetto, che continua da tanti anni, sia ovviamente grandioso.

Il post è stato commentato da molti fan del regista toscano, ma anche da alcune personaggi noti tra cui Enrico Mentana che ha raccontato un momento molto difficile della sua vita: "Uno dei miei amici più cari fu ucciso dall'eroina. Allora, negli anni 80, la sua diffusione era devastante. I giardini di ogni quartiere di Milano erano centri di spaccio, i prati disseminati di siringhe. Nella nostra stagione antiautoritaria Muccioli era considerato un losco individuo. Credo abbia salvato più vite di tanti eroi osannati. Ricordo per quanti genitori disperati, per quante mamme picchiate e derubate da chi avevano messo al mondo San Patrignano fu l'ultima speranza, e la salvezza. Allora lo stato non faceva NULLA per il recupero dei tossicodipendenti, e quella di Muccioli era l'unica comunità laica, insieme alle prime dei "don" più coraggiosi. Andrebbe ricordato con gratitudine dalla nazione. Il resto è fiction".

Dove si trova San Patrignano e perché si chiama così

San Patrignano non è il nome del Comune in cui si trova la comunità, ma è una parte del territorio di Coriano, in provincia di Rimini. Il nome di San Patrignano deriva dal nome della via di accesso che porta al podere dove si trova la comunità, e fu scelto da Vincenzo Muccioli, fondatore di "SanPa", come veniva chiamata colloquialmente da chi ci viveva. 

Che cos'era all'epoca San Patrignano

La comunità fu fondata alla fine degli anni Settanta in questo podere, nel quale Muccioli originariamente si era trasferito da Rimini, dove rimase la sua famiglia, per dedicarsi soprattutto all'allevamento di pregiate razze di cane. Il podere era un dono della famiglia della moglie di Muccioli, Maria Antonietta Cappelli, sposata nel 1962 e da cui ebbe i figli Andrea Maria e Giacomo Maria. 

La storia di San Patrignano come comunità di recupero per fornire "assistenza gratuita ai tossicodipendenti ed agli emarginati" inizia nel 1978, si legge su Today, quando a Muccioli viene affidata una giovane ragazza di Trento, figlia di amici di famiglia, che era una tossicodipendente.

In quegli anni l'eroina stava iniziando a diffondersi tra i giovani italiani, con conseguenze spesso devastanti per chi ne faceva uso, ma più o meno indirettamente anche per i loro familiari e per le persone che frequentavano, oltre che per tutta la società. E anche se San Patrignano non era una comunità riservata agli eroinomani, la stragrande maggioranza dei suoi ospiti in quegli anni era dipendente da quella sostanza stupefacente.

Dopo la prima ragazza, altri giovani con problemi di dipendenze arrivarono a San Patrignano, e quando il numero di ospiti arrivò a trenta fu creata ufficialmente la cooperativa. Nel 1985 la famiglia di Muccioli rinunciò alla proprietà del podere e ai diritti ereditari su di esso, donandolo a quella che divenne la Fondazione San Patrignano. 

Chi era Vincenzo Muccioli

Vincenzo Muccioli nacque a Rimini nel 1934. Da giovane interruppe gli studi alle superiori per lavorare nell'agenzia di assicurazioni gestita dal padre, coltivando al tempo stesso una grande passione per gli animali e l'agricoltura.

Come detto prima, fu proprio questa sua passione che lo portò a vivere nel podere di Coriano, a partire dalla fine degli anni '60 e l'inizio dei '70. In quel periodo iniziò ad appassionarsi allo spiritismo, organizzando sedute spiritiche in cui lui faceva da medium per il gruppo del "Cenacolo" composto da una sessantina di persone, e a interessarsi alla cosiddetta medicina naturale. 

Il gruppo del Cenacolo iniziò quindi a occuparsi delle problematiche legate al disagio e all'emarginazione sociale, finendo appunto per dar vita alla comunità, che divenne cooperativa nel 1985: da quel momento, secondo Muccioli, i beni della comunità appartenevano a tutti coloro che ci vivevano. 

I metodi di Muccioli furono molto discussi, il principale problema di San Patrignano era legato ai metodi di Muccioli. "La mia terapia è fare il padre di famiglia" dice lo stesso Muccioli in uno dei tanti spezzoni d'archivio del documentario (la docu-serie è stata realizzata con venticinque testimonianze, 180 ore di interviste e con immagini tratte da 51 differenti archivi). 

Ma in un'altra delle tante interviste dell'epoca riportate da SanPa, Muccioli spiega: "Qui se ci entrate ci state, ma se voi volete mollare e ritornare indietro... eh no". In sostanza, quindi, il maggiore problema etico e legale di San Patrignano era che gli ospiti, una volta entrati, di fatto non potevano abbandonare la comunità senza il consenso di chi la amministrava. 

Per far sì che nessuno se ne andasse, si ricorreva quindi anche alle maniere forti, rinchiudendo e legando coloro che cercavano di scappare. 

In quali processi fu coinvolto Muccioli

I metodi estremi di San Patrignano sono alla base dei due processi in cui è stato coinvolto Vincenzo Muccioli. Il primo fu il cosiddetto "processo delle catene" ed ebbe inizio nel 1983: Muccioli fu processato per sequestro di persona e maltrattamenti, per aver incatenato alcuni ospiti che volevano lasciare la comunità. Nel 1985 Muccioli fu condannato, ma nell'87 fu assolto in appello con formula piena, e l'assoluzione fu confermata dalla Cassazione nel 1990.

L'altro processo, iniziato nel 1994, è legato alla morte di Roberto Maranzano, che era stato ospite di San Patrignano. Disperso nel 1989, fu ritrovato morto in una discarica di Terzigno, vicino Napoli, nel 1993, grazie alle rivelazioni di un ex ospite, Franco Grizzardi, che aveva rivelato che Maranzano era stato pestato a morte da altri tre ospiti della comunità "perché non si poteva alzare lo sguardo mentre si mangiava", e in seguito trasportato in auto fino alla discarica di Terzigno per depistare le indagini. 

Muccioli fu condannato per favoreggiamento e assolto per omicidio colposo, ma l'appello fu interrotto nel 1995, alla morte di Muccioli. Tuttavia, alcune registrazioni di Walter Delogu (autista di Muccioli e padre di Andrea Delogu, conduttrice radiofonica su Radio2, personaggio televisivo e autrice del libro "La collina" in cui parla dei suoi primi anni di vita nella comunità dove si erano conosciuti i genitori) dimostrarono come Muccioli fosse non solo a conoscenza e parte attiva nell'occultamento del cadavere di Maranzano, ma che addirittura pianificava di uccidere Grizzardi inscenando un'overdose di eroina. 

Che cos'è oggi San Patrignano

Dopo la morte di Vincenzo Muccioli, la comunità passò nelle mani del figlio Andrea, che nel corso degli anni ha del tutto abbandonato i metodi estremi del padre, portando San Patrignano ad essere riconosciuta anche dalle altre realtà internazionali che si occupano di prevenzione e recupero di tutte le dipendenze. 

Tuttavia, anche se esiste ancora oggi, la comunità di San Patrignano non è mai tornata ad avere un numero di ospiti paragonabile a quello degli anni '80, quando arrivò ad avere oltre un migliaio di persone. E, naturalmente, non ha più avuto quella risonanza mediatica che aveva all'epoca, tanto da diventare un tema che divise profondamente l'opinione pubblica italiana, come si vede nel documentario "SanPa".

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