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"Babbo" e "babbeo" facciamo chiarezza: simili, ma non troppo

L'Accademia della Crusca spiega l'origine delle due parole, che pur provenendo da un "riutilizzo" della sillaba lallata dal bambino sono molto diverse

In Toscana il "papà" si chiama "babbo" e da sempre per chi arriva da fuori regione è molto strano, in quanto "babbo" viene associato a "babbeo", "stolto", "stupido". Ma qual è il rapporto tra babbo "stupido "con babbo "padre"? A rispondere a questa domanda amletica ci ha pensato l'Accademia della Crusca che da secoli studia e divulga la lingua italiana.

Babbo nella lingua italiana

Che le due parole abbiano un'origine simile, per non dire la medesima, è innegabile, ma tanto quanto è certo che nascano dalla lallazione dei bambini (che si verifica nel primo anno di età) è altrettanto vero che non si sviluppano l'una dall'altra: "si tratterebbe di passaggi semantici difficili da giustificare" spiega Franco Fanciullo in un articolo dell'Accademia. "Siamo qui in presenza di due diverse traiettorie semantiche che hanno avuto origine da uno dei primi suoni che il bambino produce nella fase della lallazione". Quando ancora il bambino non ha imparato a parlare, e quindi lalla, "ossia produce volontariamente delle sillabe costituite da un suono consonantico seguito da un suono vocalico", produce suoni che serviranno al piccolo a sviluppare la capacità di parola. Le sillabe prodotte dai neonati sono quelle "più facili da articolare: di norma, quelle costituite da una consonante o labiale (come b, p, m) oppure dentale (come d, t, n) seguite dalla vocale a o da una vocale tendente ad a: di qui, sequenze come ba, ba-ba o ma, ma-ma o da, da-da o na, na-na…, ciò che, si badi, avviene per tutti i bambini del mondo e non solo per quelli d’Italia. Precisiamo che, in questa fase, le sillabe lallate non sono parole dotate di significato: sono in effetti, da parte del bambino, meri esercizi per fare pratica di fonetica".

Ma se per i bambini quei suoni non hanno un significato, lo stesso non si può dire degli adulti a loro vicini. La ricerca del significato spesso porta alla "lotta del primato" tra i genitori che si traduce in "ha detto prima mamma" oppure "ha detto prima papà/babbo". E così la "sequenza ma-ma viene di solito “interpretata” dai genitori come un tentativo del bambino di chiamare la ‘mamma’ (o anche la ‘mammella’); la sequenza ba-ba viene di norma interpretata come un tentativo del bambino di chiamare il ‘babbo’ cioè il ‘papà’ e così via. Siccome poi, abbiamo detto, le prime sillabe che il bambino impara a lallare sono le stesse per tutti i bambini del mondo, ne viene che i nomi familiari o colloquiali per ‘mamma’ sono sorprendentemente simili in molte lingue (imparentate fra loro o non imparentate); e che lo stesso succede coi nomi per ‘babbo’ o ‘papà’". Ad esempio in francese è maman, in inglese mom, mum, mommy, in cinese mama; "i nomi familiari per ‘babbo’ contengono una b (o anche una p) seguita dalla vocale a o tendente ad a ad esempio in italiano (babbo; papà), neogreco (babás), arabo (bâbâ), cinese (baba), francese (papa), latino (pappa), neogreco (papás), oppure una d (o una t) seguita dalla vocale a o da una vocale tendente ad a, ad es. in inglese (dad) o in non pochi dialetti italiani (tata; si ricorderà il racconto mensile “L’infermiere di tata” nel Cuore di E. De Amicis) e così via".

In poche parole, aggiunge Fanciullo, "l’italiano babbo come modo familiare per chiamare il ‘padre’" rappresenta una "'ufficializzazione' nella lingua vera e propria (in questo caso, l’italiano) della sillaba ba-ba lallata dal bambino".

Babbeo nella lingua italiana

Com'è possibile, quindi, che da 'ba-ba' si arrivi sia a babbo che a babbeo? "Se nel caso di babbo ‘papà’ la sillaba lallata viene “interpretata” dai genitori come tentativo del bambino di chiamare il ‘babbo / papà’, nel caso di babbeo ‘sciocco’ (e simili), invece, la sillaba lallata viene utilizzata per designare chi è ‘ingenuo, innocente, naif’ come il bimbo che sa dire solo ba-ba; e da ‘ingenuo, naif’ si arriva facilmente, con peggioramento semantico, a ‘sciocco, stupido, scemo’" spiega ancora l'articolo dell'Accademia.

E' facile poi trovare nelle varie forme dialettali e italiane molte varianti per 'sciocco e stupido': "dall’italiano babbeo / babbione e simili, ai tipi bbabba f. / bbabbu m. di molti dialetti italiani meridionali (ad es. nel Salento, in Calabria, in Sicilia – nei dialetti del Salento, bbabbare è sia, transitivamente, ‘stordire qualcuno, farlo rimbecillire con sostanze stupefacenti, o con chiacchiere, parole o altro’ sia, intransitivamente, ‘restare imbambolato’; mentre tipicamente calabrese e siciliano è bbabbijari / bbabbïari, di per sé un babb-eggiare, ‘comportarsi da sciocco’, anche nell’italiano regionale: ma stai babbiando! ‘ma stai scherzando!’) e, soprattutto al femminile baba, settentrionali (chi abbia letto Lessico familiare di Natalia Ginzburg ricorderà che babe era l’epiteto del quale il padre della scrittrice, il terribile professor Levi, gratificava le amiche della moglie), al tipo bbabbasóne ‘scioccone, credulone’, spesso anche con sfumatura affettuosa, di molta parte del sud d’Italia a cominciare da Napoli, e via discorrendo".

Babbo o papà? Qual è il più corretto?

Ancora una volta a rispondere a questo dilemma è l'Accademia della Crusca con un articolo di Matilde Paoli. E' certo che papà e babbo si siano affermate in epoche diverse legandosi al "panorama delle varietà locali sottostanti in cui ancora nella prima metà del secolo scorso dominavano, sia al nord che al sud, derivati dal latino patrem contrastati da babbo diffuso in Sardegna, Toscana, Romagna, Umbria, Marche e Lazio settentrionale, oltre che da tata, in Lazio, Abruzzo, Puglia settentrionale e Campania, e atta in Puglia, Basilicata e Campania meridionale. Anche papà, benché a fianco di altri termini, era già diffuso in Piemonte, lungo la valle del Po, in Veneto, a Roma, in Umbria e nelle Marche (cfr. AIS, c. 5 I vol.)". "Mentre babbo è una forma 'autoctona', papà è effettivamente un francesismo, benché di "vecchia data", tanto che se ne trova testimonianza già nel XVIII secolo per il veneziano (cfr P. Zolli, L'influsso francese sul veneziano del XVIII secolo) e, nella variante pappà, appare già usato nel XVI secolo da un autore toscano, Pietro Aretino, in un dialogo dei suoi Ragionamenti, in libera alternanza con babbo: 'Chi è la vostra figlia? Pappà, babbino, babbetto, non sono io il vostro cucco?'".

"Babbo compare sostanzialmente invariato dalla prima fino alla quarta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca - scrive Paoli -, dove si chiarisce che “dicesi solo da' piccoli fanciulli, e ancora balbuzienti” e si citano il volgarizzamento Libro della sanità del corpo di Aldobrandino da Siena (“Sì come è a dire, mamma, pappo, babbo, bombo”) che rimanda al linguaggio infantile, e il XXXIII canto dell'Inferno (“Che non è impresa da pigliare a gabbo Descriver fondo a tutto l'Universo, Né da lingua, che chiami mamma, o babbo”). La "V Crusca" è più esplicita: 'è voce, per lo più, de' fanciulli e, scrivendo, dello stile familiare e giocoso. Raddoppiamento della sillaba ba ch'è uno de' primi suoni che con facilità articoli il fanciullo, e che ha analogia in quasi tutte le lingue'".

Nessuna delle edizioni del Vocabolario degli Accademici registra papà o pappà; né lo troviamo nelle schede preparatorie alla lettera P della V edizione (pubblicata dal 1863 al 1923, fino alla lettera O). La voce aveva comunque già iniziato a penetrare almeno in certa lessicografia: nella seconda edizione del Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana di Francesco d’Alberti Di Villanuova (1825) troviamo il lemma PAPÀ definito "lo stesso che Babbo"

Caso toscano a parte, papà risulta la forma familiare per 'padre' più usata in lingua: ne sono testimonianza alcune espressioni ormai molto diffuse come figlio di papà, aspirante papà, neopapà, festa del papà, seguire le orme di papà, le cui alternative, per quanto possibili (tranne nel primo caso), hanno una diffusione (almeno stando alla rete) decisamente più ridotta. In controtendenza è invece il rapporto tra babbo Natale  e papà Natale (11.900.000 a 11.100 occorrenze per le pagine in italiano il 15 dicembre scorso); anzi in alcuni casi, babbo Natale è Il Babbo per antonomasia.

Fonte: Accademia della Crusca.

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