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Enrico Rossi: "Facciamo una macroregione Toscana, Umbria, Marche. Vantaggi per tutti"

Il presidente della Regione scrive una lunga lettera al Corriere Fiorentino, spiegando la sua idea di "regionalismo" e i possibili vantaggi della fusione: "Più forza e più peso in Europa per le sfide globali"

E’ possibile costituire una macro-regione che comprenda Toscana, Umbria e Marche? Il dibattito lo apre il presidente della Regione Enrico Rossi, con una lunga lettere al Corriere Fiorentino, pubblicata ieri dal quotidiano. Rossi chiede di iniziare a pensare concretamente a questa ipotesi, che chiama “la mia Italia di mezzo”, dopo il referendum confermativo sulla riforma costituzionale del governo Renzi, che dovrà tenersi nel 2016. Il presidente della Toscana parla delle radici comuni, culturali e politiche, delle tre Regioni, e si sofferma sui vantaggi che ritiene potrebbero venire da tale fusione: più peso in Europa e più forza per costruire nuove infrastrutture e fronteggiare interessi costituiti e società come Autostrade o Ferrovie.

“E’ lecito parlare di un’Italia di Mezzo? Toscana, Umbria e Marche possono formare una macroregione? La storia in questo ci dà una mano. Questa regione esiste già in nuce nella storia d’Italia, da molti secoli prima dell’unità e del regionalismo”, scrive Rossi rivolgendosi al direttore del Corriere Fiorentino, citando grandi personaggi che si sono mossi nelle tre regioni come i pittori Giotto, “migrante dal Mugello ad Assisi sulle orme di San Francesco”, Piero della Francesca, “umanista errante per antonomasia, da San Sepolcro ad Arezzo, Perugia, Urbino, Loreto e Ancona”, e Raffaello “attratto a Firenze dai modelli di Masaccio, Donatello, Leonardo e Michelangelo”, e pensatori politici quali Machiavelli e Baldassare Castiglione. “Terra mediterranea e frontaliera, separata dall’appennino - prosegue Rossi - ma in cerca del Nuovo Mondo col fiorentino Amerigo Vespucci e alla scoperta della Cina col gesuita Matteo Ricci da Macerata”.

Il presidente della Regione prosegue citando altri numerosi esempi di vicinanza tra le tre regioni, spaziando dalle citazioni letterarie a quelle sul paesaggio fino alla cultura politica dominante nella ‘macro area’. “Un tratto comune cui si lega anche la prevalenza politica della sinistra socialcomunista, più forte in Toscana e in Umbria, meno nelle Marche”, prosegue il governatore, che parla di “una cultura politica condivisa che ha governato le amministrazioni locali e le regioni dell’Italia di Mezzo attraverso uno straordinario collante di interessi pragmatici e valori e ideali. Sviluppo sano, diffuso e solidale. Buona qualità dei servizi. Un’Italia di Mezzo non solo geografica, ma anche della redistribuzione”.

Per quanto riguarda gli ultimi anni, segnati dalla crisi sociale ed economica, “non sono mancate le debolezze nella scarsa capacità di reazione […], ma nel complesso la risposta alla crisi c’è stata ed è stata forte. Questa reazione virtuosa dell’impresa manifatturiera, che è alla base della tenuta dell’Italia di Mezzo, ha cambiato la struttura economica e sociale delle nostre regioni […]. È ovvio che non faremo passi avanti se la politica non costruirà un’alleanza con la parte più forte e dinamica della società, per promuovere e includere chi è più debole. Questa operazione è squisitamente politica ed è possibile affrontarla a condizione di fare scelte coraggiose e nuove”.

“Il tema della dimensione istituzionale di queste scelte, che in Toscana abbiamo in gran parte compiuto, non è ininfluente. Nessuna regione dell’Italia di Mezzo può da sola ambire a raggiungere la massa critica necessaria. Una macro regione dell’Italia di Mezzo avrebbe con queste scelte ben altro peso in Europa. Essa dovrebbe assumere la dimensione europea come l’unica entro cui collocarsi per pretendere che i territori siano più presenti nelle politiche dell’Unione. Anche verso i grandi gestori nazionali di servizi essenziali allo sviluppo, la macro regione potrebbe contare di più. Autostrade, ferrovie, servizi bancari, investimenti pubblici corrono sempre più il rischio di essere condizionati nelle scelte da regioni più grandi o dalle grandi concentrazioni presenti nel corridoio Nord-Sud dell’Italia”.

“Solo un regionalismo «differenziato» può mettere al sicuro il Paese dal rischio di una rottura del suo fragile equilibrio, impastato di coesione e redistribuzione sociale e territoriale. Dopo il referendum confermativo della legge di riforma costituzionale si potrebbe avviare un percorso di politiche comuni e fusioni dei servizi che le esercitano su base regionale”, dice Rossi, chiedendo di tornare alla “tutela del paesaggio, dopo anni in cui siamo passati da alluvione in alluvione”, puntando sulla “nostra agricoltura non estensiva e di qualità. Come asse di sviluppo e di occupazione.” Per Rossi bisogna poi “riprendere la lotta per la costruzione dell’infrastruttura fondamentale: il corridoio balcanico. Connettendo Livorno con Ancona. Realizzando l’eterna incompiuta Grosseto-Fano per intrecciare i flussi del grande corridoio Lisbona-Kiev e quindi per tornare a esprimere vocazione mediterranea e transfrontaliera”.

Infine, la conclusione. “Anche il sistema bancario è chiamato in causa […]. Dobbiamo ricostruire il perimetro del bene comune. Una nuova intermediazione intelligente. Capace di misurarsi con sfide democratiche e morali. La lotta alle diseguaglianze e alle povertà. Tutto cambia ma restano i valori che sostanziano la linfa della nostra dolce patria civile che, pur estranei alle piccole patrie orgogliosi del nostro essere umbri, marchigiani e toscani, chiamiamo Italia di Mezzo”.

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