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Elezioni comunali 2014

Nardella sindaco è la 'consecutio temporum' del Renzi partito da Verona

Dario Nardella con la fascia tricolore. Un'immagine sicura, quasi scontata. Dal 9 giugno, però, non dal 26 maggio, al primo turno. Cosa è successo, perché il vicesindaco di Firenze è riuscito dove lo stesso Renzi aveva fallito?

“Firenze insegna a fare le cose, a non aver paura. Firenze mi ha adottato, mi ha dato tutto. Spero in questi anni di restituire almeno un po’ di tutto quello che ho ricevuto”. Dario Nardella, nato a Torre del Greco il 20 novembre del 1975, si è trasferito a Firenze quando aveva 12 anni. Ventisette anni dopo l’approdo in Arno, già dalle 16 di ieri, quando le fattezze delle percentuali non inducevano ad alcun dubbio, porterà la sue ‘cose’ nel suo nuovo ufficio, nelle sale di Clemente VII a Palazzo Vecchio. Quelle stesse stanze che fecero esclamare Bersani: “Matteo, ma chi te lo fa fare di venire a Roma? Questo è l’ufficio più bello del mondo”.
Nardella, Renzi, Bersani e Clemente VII: le stanze restano, sono chi le abita che hanno o dovranno, nel caso del neosindaco, cambiare abitudini. Le stanze restano e si fanno metafora, perché le storie partono sempre da lontano e arrivano sempre vicino ai giorni.

Bersani raggiunse Renzi in Clemente VII e poi, insieme, si diressero all’ObiHall. Erano appena finite le primarie del 2012, e dopo la guerra, sancita la pace, ‘comiziarono’ insieme quando le politiche del 2013 erano alle porte. Quelle stesse elezioni che – con la ‘garbata’ partecipazione di 101 franchi tiratori che lo impallinarono assieme al ‘compagno’ Prodi – hanno sancito la fine della stagione politica dell’ex segretario nato a Bettola, nel piacentino. Poi il Napolitano bis, le larghe intese con Berlusconi, il governo Letta; le larghe intese senza Berlusconi ma con Alfano e il governo Letta bis. E mentre un pezzo di Pd pensava a governare, un altro, quello della rottamazione, della prima o della seconda ora, si preparava a prendersi il partito. Con il carro del vincitore che si faceva sempre più fitto di volti un tempo avversi, ora amici. Sempre più peso ma inevitabilmente vincente.

Tanto che Renzi alla fine del 2013 è stato eletto segretario da una sorta di plebiscito: ogni 4 dem, tre hanno dato fiducia all’ex sindaco. Due mesi dopo, Renzi e il Pd hanno portato il conto a Letta “perché il Paese aveva bisogno di cambiare passo”. Così i democratici hanno sfiduciato uno dei suoi fedelissimi e Renzi da Palazzo Vecchio ha fatto base a Palazzo Chigi.

Vi ricordate le frasi di allora: manovre da vecchia politica, in pieno stile Dc. Renzi, l’uomo delle primarie, delle urne, alla guida del Paese senza passare il suffragio elettorale. Renzi come Amato, D’Alema, Dini, Monti. Con gli analisti a raccontare i rischi di una carriera politica appesa ad un Parlamento non suo, con i numeri ballerini. Gli stessi dentro cui si è messo in testa di riformare la Pubblica Amministrazione, giustizia, lavoro e fisco. Senza dimenticare la legge elettorale e la fine del bicameralismo perfetto con l’abolizione poi la trasformazione del Senato. Nel pacchetto anche gli 80 euro in più in busta paga per i redditi fino a 1500 euro al mese: “sono una mancia”; “no, sono l’inizio del cambiamento, il primo tassello di una nuova giustizia sociale”.

Avanti così fino al 25 maggio, con le elezioni europee che pian piano prendevano il sapore del derby tra Grillo e Renzi, due rottamazioni a confronto. Due fenomenologie contro. Tutta colpa dei sondaggi e di noi giornalisti che, credendoci, abbiamo alimentato il testa a testa non capendo l’umore del Paese, che stava andando in un’altra direzione. Quella della conferma di Renzi come Governo.

Grillo che disperde 3 milioni di voti assoluti, e non si tratta di pigrizia, non è un voto di protesta. Il Movimento 5 Stelle è fatto di militanza, voto anti-sistemico, partecipazione alla rottura. Chi non ha consegnato la crocetta a Grillo, gli ha voltato le spalle (e in tanti sono andati al mare). Dinamiche complicate: molto più della lettura fatta a caldo, quella degli italiani timorati dalle piazze di Grillo; molto più delle scelte dei nonni e dei pensionati (la lettura di Grillo). 

Flussi di voto ancora da leggere bene, tuttavia è bene ricordare quel che disse Renzi nel settembre del 2012, a Verona: “voglio stanarvi dalle vostre delusioni”, rivolgendosi all’elettorato berlusconiano. Polemiche. Un anno dopo: “Se non strappi voti al centro-destra, ti becchi i ministri del centro-destra”. A Grillo ha ‘rapinato’ i transfughi Pd che, delusi anche dal leader del M5S, sono tornati a casa. A Monti, o meglio, a quell’ala moderata che si era compattata attorno all’ex primo ministro, ha sottratto tutto il bacino elettorale: ecco i delusi del berlusconismo, approdati prima da Monti e che ora si sono affidati al premier.

Per quel che riguarda Berlusconi, l’altro grande sconfitto di questa partita – e su questo i sondaggi, avevano capito la slavina, ma non il senso della frana – è bastata la spaccatura con Alfano, un po’ di consenso consegnato a Renzi, ma soprattutto la smobilitazione del suo popolo che non è andato a votare, è stata a casa. Risultato? Renzi, e poi il Pd, hanno inglobato una fetta del centro che fino a ieri guardava al Pdl e superato il 40%: ben sei punti sopra il record storico del Partito comunista, prima formazione politica dell’area Pse.

E dopo tutto questo scrivere, la metafora di Clemente VII? La metafora sta proprio tutta dentro questo racconto, con la sala di Clemente VII simbolo di questa partita che da locale si è fatta nazionale per poi riconfermarsi nel locale. Il 59% di Nardella, a Firenze, percentuale con cui il vicesindaco ha fatto lo scatto di carriera fin dal primo turno (l’ultimo a riuscirci fu Domenici nel lontano 1999), è figlio di questa storia, è gli da la dimensione della continuità. È figlio del balzo in avanti del Pd, che in città, sull’onta nazionale, raggiunge il 47% dei consensi. È figlio, per quel che riguarda la proclamazione al primo turno, di due emorragie: quella di Berlusconi, attesa, quella spiazzante di Grillo. È figlio della nuova ‘Balena Bianca’ della politica italiana, Matteo Renzi.

Ora a Nardella il compito di governare Firenze ("La giunta entro una settimana"). Lo farà, stando ai numeri che sta diffondendo il ministero dell’Interno, quando ancora però manca l’ufficialità, con una maggioranza in Consiglio comunale che potrà contare su ben 24 consiglieri (21 Pd, 3 Lista Nardella). Partendo, come annunciato ieri sera, dalla vertenza della Seves, perché “non si può licenziare 100 lavoratori in tronco così”. E lo farà mettendo al centro dell’azione politica “le periferie” ma anche le grandi opere infrastrutturali: “aeroporto, parcheggi, tramvia linea 2 e 3”.

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