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Accadde oggi: il film Amici miei arriva al cinema

Il 15 agosto del 1975 il film di Mario Monicelli usciva nelle sale cinematografiche. Una indimenticabile pellicola di culto, manifesto della fiorentinità più autentica

Cinque amici, una città e nessuna voglia di prendersi sul serio. Uomini che si ostinano a coltivare il gusto tutto toscano di burle fantasiose e crudeli: canzonare vigili urbani, prendere a schiaffi i viaggiatori affacciati al finestrino di un treno, beffare vecchi pensionati spilorci.

Una ricetta per esorcizzare la paura della vita e della morte, un modo (quasi) infallibile per rinvigorire lo spirito goliardico tipico della giovinezza, arrestando a colpi di cinismo lo scorrere del tempo.

Tra supercazzole prematurate e zingarate estemporanee, vi raccontiamo i segreti del capolavoro firmato Mario Monicelli, uscito al cinema 44 anni fa. Un cult dal retrogusto dolceamaro, ancora oggi manifesto della fiorentinità più autentica.

Un film di Pietro Germi

Il soggetto originale di Amici miei apparteneva in realtà al regista Pietro Germi, e solo quando morì nel 1974 l'amico e collega Mario Monicelli decise di realizzarne un film. Leggenda narra che il titolo stesso sia stato influenzato dalle ultime parole pronunciate da Germi: "Amici miei, io me ne vado, ci rivedremo".

Un giorno, per caso, Firenze

La scelta della location fu del tutto casuale. Inizialmente la pellicola doveva essere ambientata in una non meglio precisata città, in un primo tempo identificata con Bologna. Come raccontò in un'intervista, fu lo stesso Monicelli a optare per Firenze, poi divenuta centrale all'interno della sceneggiatura.

Una storia vera

Personaggi e fatti non sono esclusivamente frutto della fantasia registica. Sia il conte Mascetti, nobile fiorentino decaduto, che l'architetto Melandri, inguaribile romantico, sembrano essere legati a persone realmente esistite. Lo stesso Gastone Moschin raccontò che il suo ruolo si ispirava ad un architetto fiorentino perdutamente innamorato della moglie di un noto avvocato, nel film trasformato nel chirurgo Sassaroli. E, secondo la leggenda, sembra che persino lui sia andato a chiedere la mano della donna al marito cornuto. 

Per quanto riguarda le celebri zingarate, espressione entrata a pieno titolo nel linguaggio comune, sembra che persino quelle traessero ispirazione da fatti reali. Maestro della supercazzola pare fosse lo sceneggiatore Raffaelo Pacini, amico di Monicelli e inventore di questa comicità all'insegna del nonsense.  

Marcello, come here!

Si vocifera che in origine la parte del Conte Mascetti dovesse spettare a Marcello Mastroianni, mentre Ugo Tognazzi avrebbe dovuto vestire i panni del Perozzi. Mastroianni però decise di rifiutare l'ingaggio, preoccupato che la sua interpretazione non riuscisse ad emergere all'interno di un film corale.

Monicelli propose allora il nome di Raimondo Vianello, che declinò a sua volta. Il ruolo venne così assegnato a Tognazzi, mentre per la parte del giornalista venne ingaggiato Philippe Noiret.

Per quanto riguarda il personaggio del barista Necchi, pare che Germi avesse già indicato Duilio Del Prete e Monicelli decise di rispettare le sue volontà. Sembra però che il regista avesse già in mente il nome di Renzo Montagnani, che infatti sostituirà Del Prete nel secondo atto della trilogia. 

Schiaffi da incubo

La scena cult degli schiaffi ai viaggiatori in partenza da Santa Maria Novella fu in realtà un vero e proprio incubo. Un po' per esigenze di realismo, un po' per spirito goliardico, Monicelli incitò gli attori a colpire con forza le malcapitate comparse. Che, neanche a dirlo, non la presero proprio bene. 

Per conferire ulteriore realismo alla scena, il regista modificò persino i finestrini del vagone, affinché i vetri potessero abbassarsi più del normale, permettendo così agli attori di colpire con più facilità le comparse.

La sequenza è stata poi omaggiata nel film “Fantozzi alla riscossa”. Peccato che stavolta si trattasse di un treno arrivo e non in partenza...

Bella figlia dell'amore...

Se il famosissimo “Mavaffanzum!” del secondo atto utilizza la stessa sinfonia del Barbiere di Siviglia di Rossini, nel primo capitolo di Amici miei troviamo una citazione ancor più esplicita dell'opera lirica italiana. 

Nello specifico, si tratta della celebre aria "Bella figlia dell'amore", presente nel terzo atto del Rigoletto di Giuseppe Verdi. 

Un funeralone da fargli pigliare un colpo!

È quello che si augura nella scena finale il Melandri per l'amico Perozzi, ormai passato a miglior vita. Ad esaudire il suo desiderio ci ha pensato nel 2010 il regista Federico Micali con il film documentario "L’Ultima Zingarata", in cui venne realizzato, sempre nella chiesa fiorentina di Santo Spirito, il fastoso funerale agognato dal Melandri. . 

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