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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Da Lacerba a Mostro. Vanni Santoni: "Le riviste letterarie sono laboratorio di democrazia"

Lo scrittore è ospite di FirenzeRivista, la rassegna di editoria indipendente e riviste letterarie che si apre oggi alle Murate. "Purtroppo negli ultimi tempi a Firenze spesso vince la bruttezza". L'intervista

Cristina Campo sottovalutata e Santo Spirito malgestita. Gli esordi e i lavori in corso, l'odio-amore per Firenze, la libertà espressiva come essenza dell'underground. Riflessione estetica e critica politica si richiamano, memoria e attualità individuali e collettive s'intrecciano nel discorso di Vanni Santoni, 43 anni tra pochi giorni, 8 romanzi editi di Feltrinelli, Laterza e Mondadori oltre a racconti, saggi, opere collettive e articoli giornalistici. Lo scrittore toscano è ospite di "FirenzeRivista", la rassegna di editoria indipendente e riviste letterarie che si tiene alle Murate sino al 19 settembre.

Che cosa ha rappresentato per Vanni Santoni l'esperienza di "Mostro", rivista letteraria 'd'avanguardia' nata e cresciuta in ambito universitario nei primi anni 2000, che ebbe un'ottima diffusione e ricevette molte adesioni e apprezzamenti? 

Per cominciare, mi fa piacere che la si ricordi, per due ragioni. La prima, e così rispondo, è che per me "Mostro" ha rappresentato molto, forse tutto, dato che se non l'avessi incontrata, probabilmente non avrei cominciato a scrivere. Pur essendo da sempre un lettore forte, non avevo un background letterario e non avevo mai pensato di poter scrivere. Incontrare dei ragazzi che lo facevano, e che si prendevano molto sul serio nel farlo, fu decisivo. 

Sei rimasto in rapporti con gli altri animatori di quella rivista?

Sì, ho scritto un libro a quattro mani con Matteo Salimbeni, e anche se lui adesso vive nella foresta ogni tanto ci vediamo; con Gregorio Magini il sodalizio ha portato al progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva, che a sua volta ha generato il romanzo In territorio nemico, uscito nel 2013 per minimum fax, e più recentemente siamo stati entrambi tra gli autori del fortunato saggio La scommessa psichedelica curato da Federico Di Vita per Quodlibet. Anche con Francesco D'Isa la collaborazione è continua: nel 2017 ha pubblicato il suo romanzo La stanza di Therese per la collana da me diretta per Tunué, e sono stato il suo editor, mentre lui è il mio direttore nella collaborazione che ho con la rivista "L'Indiscreto", in particolare per il progetto delle "Classifiche di qualità", che coordiniamo assieme. Né dimenticherei la poetessa Margherita Bertoli, con cui ci vediamo ai festival goa. 

Che cosa è cambiato relativamente all'ideazione e all'affermazione di una rivista letteraria, rispetto a quasi 20 anni fa? E come è cambiato – se è cambiato – il pubblico?

La differenza sostanziale è che oggi le riviste si fanno per lo più online, con un conseguente abbattimento dei costi di produzione e distribuzione, e la possibilità di arrivare subito a un pubblico più ampio. Dall'altro lato però le riviste online vedono la loro diffusione più legata al singolo pezzo che "sfonda" sui social, che al progetto nel suo complesso, e questo può condizionare la "compattezza" estetica e di contenuto del prodotto editoriale, il che non è necessariamente un male, ma certo segna una differenza. Il pubblico delle riviste letterarie, oggi come vent'anni fa, così come ai tempi di "La Voce" e "Lacerba", credo sia lo stesso: lettori così forti da essere interessati anche alle ultimissime tendenze della letteratura contemporanea, aspiranti scrittori, addetti ai lavori e lettori che al mainstream preferiscono l'underground. Le riviste sono l'humus in cui si formano gli scrittori di domani, e anche la zona franca in cui quelli già formati possono occuparsi di temi percepiti come "minori", o agire in totale libertà espressiva. 

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Che ruolo politico, in senso etimologico, può avere oggi una rivista letteraria?

Una rivista letteraria è sempre anche un piccolo corpo sociale, in cui non si producono solo contenuti, ma si discute anche cosa pubblicare e perché, quindi è per natura un laboratorio di democrazia, oltre che di cultura. Va da sé poi che, alimentando la "scena", contribuisce alla crescita della letteratura in sé, che è parte consistente del sistema nervoso di una civiltà.

Nel mondo culturale fiorentino si parla insistentemente di 'rinascimento psichedelico': di cosa si tratta e quali sono i testi e gli autori di riferimento?  

È vero che in Italia il dibattito sul Rinascimento psichedelico è stato portato sulla stampa nazionale dal succitato libro La scommessa psichedelica, dove almeno un terzo degli autori viene dalla "nostra" scena, ma il dibattito è, oggi, mondiale. Anzi, solo oggi l'Italia si è messa al pari di paesi come Stati Uniti, Svizzera, Inghilterra, Portogallo o Norvegia, dove va avanti già da diversi anni. Per farla breve, per "Rinascimento psichedelico" si intende la riscoperta, da parte di medicina e scienza, del potenziale terapeutico e sociale delle sostanze psichedeliche – LSD, psilocibina, mescalina e DMT. Si tratta di sostanze che non danno dipendenza e hanno un vasto campo di applicazioni mediche: tuttavia, con l'avvento del proibizionismo nixoniano, finirino nel generico calderone delle "droghe". Il paradosso fu che il proibizionismo non le tolse dalle strade (tutt'altro), ma rese impossibile per medici e scienziati usarle in campo clinico o anche solo far ricerca su di esse senza passare da protocolli lunghissimi, costi proibitivi e un certo stigma sociale. L'effetto fu che una delle direzioni di ricerca più promettenti nel campo delle scienze della mente rimase bloccata per cinquant'anni. Oggi, finalmente, le cose stanno cambiando. Il libro di divulgazione più chiaro su cui ci ci può fare un'idea in merito è Come cambiare la tua mente di Michael Pollan (Adelphi), ma il Rinascimento psichedelico è anche un Rinascimento editoriale, con la pubblicazione di molti titoli nuovi, e la ripubblicazione di diversi classici, sul tema. Si può citare, tra le uscite recenti, Il cibo degli dei di Terence McKenna, pubblicato dalla pratese Piano B, il fondamentale Terapie psichedeliche di Giorgio Samorini e Adriana D'Arienzo, più incentrato sugli aspetti prettamente medici, o ancora la nuova collana Enteogeni lanciata dalla casa editrice indipendente Anima Mundi. 

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Nelle ultime settimane, la stampa generalista e alcuni amministratori pubblici si sono scagliati contro festival di musica elettronica che hanno avuto luogo in Toscana in estate. Tu invece ne hai offerto, sui social e non solo, una lettura differente. 

Da conoscitore di lungo corso della cultura rave – sul tema ho scritto anche un romanzo, Muro di casse, uscito per Laterza sei anni fa – so bene che i free party – questo il "vero nome" dei rave – hanno sempre patito un certo stigma, in quanto manifestazioni non conformi alla morale imperante, e per di più basate su codici simbolici non facilmente comprensibili dall'esterno. Certo, quello che è accaduto questa estate è stato più avvilente del solito: se sul Bordel23 di Tavolaia si sono lette diverse amenità, ma tutte più o meno riconducibili alla solita lettura che unisce moralismo e scarsa voglia di approfondire, quando è arrivato il teknival Space Travel tra Pitigliano e Valentano, abbiamo assistito a una tempesta di vere e proprie fake news. Partendo da una notizia già non pienamente vera (l'affogamento in un pericoloso lago vulcanico di un ragazzo che stava andando al rave, ma si noti, che non ci era ancora arrivato, come ha testimoniato il padre) è partita una corsa alla criminalizzazione dei raver che non si è fatta problemi a inventare false notizie di ogni ordine e grado – cani morti, stupri, arresti cardiaci, coma etilici, l'idea che la festa fosse in un'area protetta –, e, quel che è forse peggio, tante, troppe altre testate le hanno riprese senza fare il minimo fact-checking. Va da sé che chi è stato al teknival ha visto era tutto l'opposto: lo Space Travel era un evento organizzato benissimo, di elevatissimo profilo musicale e culturale, dove vigevano collaborazione e armonia. Sul perché ciò avvenga ho scritto un post, divenuto virale su Facebook, che è stato ripreso dalla rivista Downtobaker. Sul perché ciò sia avvenuto questa estate e non un altra, mi pare abbia detto cose sensate questo articolo uscito sulla rivista Dinamopress. A proposito di utilità delle riviste! 

Restando sull'attualità: piazza Santo Spirito. Cosa ne pensi della gestione dell'area e, in generale, della gestione degli spazi pubblici cittadini da parte dell'attuale amministrazione?     

Il mio giudizio sulla gestione di Santo Spirito è negativo per una serie di ragioni. Prima di tutto perché Santo Spirito è tra le poche piazze vissute ancora dai cittadini e non consegnata al turismo, e quindi prendersela con essa significa assecondare lo svuotamento del centro storico, che già procede in modo preoccupante. Secondariamente per l'ipocrisia sottesa allo svuotare il sagrato (che, è opportuno ricordare, appartiene al Fondo Edifici di Culto, quindi allo Stato, quindi ai cittadini, e non alla Curia) ma lasciare che i gestori dei locali mettano tavolini e sedie ovunque, come a dire: "movida sì, ma solo se pagante." Terzo punto, ovviamente, è la bruttezza della barriera di fioriere e pilastrini che è stata installata: come hanno fatto notare alcuni dei più importanti architetti italiani, deturpa il capolavoro di Brunelleschi il cui sagrato è pensato e progettato in continuità con la piazza. Purtroppo negli ultimi tempi a Firenze spesso vince la bruttezza: si pensi ad esempio al nuovo Mercatino delle Pulci in largo Annigoni…

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In Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), il tuo secondo romanzo, racconti momenti delle vite di ventitré personaggi, per lo più artisti o aspiranti tali, colti nel loro rapporto con Firenze, città di nascita o di adozione, vista come una "città sotterranea e inquieta, teatro di avvincenti commedie umane", nella quale lo spazio urbano diviene specchio e contraltare del movimento interiore di chi si trova ad attraversarlo. Che rapporto ha Vanni Santoni con Firenze?

Come tutti – o quasi: in ogni caso mi pare un sentimento diffuso –, il rapporto è di amore-odio. Firenze è una città che dà molto in termini di storia, arte ed estetica, ma potrebbe dare molto di più in termini umani, sociali e artistici (quando per arte intendiamo quella che viene fatta oggi, e non solo quella rinchiusa nei musei) ma, schiacciata dal proprio passato ingombrante e, oggi, da una gestione troppo prona al mero sfruttamento dei flussi turistici, esprime molto meno di quello che potrebbe. E tuttavia, inevitabilmente, la sua storia continua ad attirare aspiranti artisti, poeti, architetti, scrittori… Se fossi fuoco arderei Firenze racconta quel mondo. Un mondo che, a causa dello svuotamento di cui parlavamo poco sopra, rischia di ridursi ancora, in favore di una "monocoltura" turistica che non porta niente alla città, se non guadagni nell'immediato che non compensano il danno di lungo termine al tessuto sociale e commerciale. 

Un autore italiano da riscoprire e uno sopravvalutato.

Cristina Campo è già più che riscoperta ma forse il grande pubblico ancora non la conosce molto, così dico lei. Gli scrittori sopravvalutati non mi preoccupano, dato che il tempo, in letteratura, tende quasi sempre a rimettere le cose a posto. 

A cosa stai lavorando?

Sono alle prese con le ultime riletture del mio prossimo romanzo, La verità su tutto, che uscirà il 18 gennaio 2022 per Mondadori, e sto cominciando la fase di ricerca per un terzo "ibrido" per Laterza, che continuerà il percorso di saggi-romanzo cominciato con Muro di casse e continuato con La stanza profonda.

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