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Cronaca

Ilide Carmignani, la "penna italiana" di Sepulveda: "La traduzione fa dialogare le culture"

Intervista alla lucchese ospite di "Firenze Rivista": per 30 anni ha permesso agli italiani di leggere lo scrittore cileno

E' una delle più importanti traduttrici italiane. E' toscana e vive a Lucca da sempre. Fra le decine di traduzioni che ha realizzato nella sua ricca carriera ce ne sono 26 di uno dei giganti della cultura mondiale: Luis Sepulveda.

E' Ilide Carmignani, che venerdì 17 settembre sarà ospite di "Firenze Rivista", il festival delle riviste e dell’editoria indipendente che si svolgerà il prossimo fine settimana nel complesso delle Murate, a Firenze. Non è un caso che ad aprile scorso abbia pubblicato il suo primo testo di narrativa: "Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba", sulla vita di Luis Sepulveda raccontata attraverso una favola.

Dopo tante traduzioni, un'opera narrativa. E non si poteva che farla su Sepulveda.

"Quando lui è mancato un anno e mezzo fa ho pensato che c'era una cosa che non aveva fatto in tempo a fare, scrivere una autobiografia: il Covid gliel'ha impedito. Sepulveda ha raccontato tutti ma non ha mai raccontato la sua storia pazzesca: ha avuto sette vite, come i gatti. Perché non è certo il classico scrittore che ha passato la vita a scrivere. Così mi è venuta voglia di 'riparare', sono andata a trovare la moglie, Carmen Yàñez, ed abbiamo scelto la forma della favola". 

Com'è stato raccontare Sepulveda?

"Ho provato a raccontarlo come avrebbe fatto lui, con il senso dell'umorismo. In realtà non ho dovuto sforzarmi molto: i suoi aneddoti, la sua voce per me sono familiari, ce li ho nell'orecchio. Ho cercato di avvicinarmi il più possibile a come l'avrebbe scritto lui in italiano. Questo libro è un po' particolare perché nasce dal mio lavoro"

Fra di voi c'era un rapporto speciale.

"Dopo 26 libri tradotti e quasi 30 anni di collaborazioni, ho provato a mettere insieme tutto il tempo che ho passato con Sepulveda ed ho calcolato più o meno 10 anni di tempo dalla mattina alla sera. A questo va aggiunto tutto il rapporto personale che si era creato. Colazioni, pranzi, cene, viaggi in macchina. E' venuto molte volte a casa mia ed io sono stata spesso a casa sua. Sepulveda era persona speciale, tutte le volte che era in Italia mi voleva con sé, mi ha ringraziato pubblicamente ad ogni libro".

Qual è stato il suo primo incontro con Sepulveda? 

"Nel 1993 era appena uscito il primo libro che avevo tradotto: "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore", che era in testa nelle classifiche di tutto il mondo. Mi invitò a Milano, pensavo mi volesse fare l'esame: stavo prendendo l'ascensore, si aprì la porta ed uscì lui. Era molto serio, poteva incutere soggezione: si vedeva che era un uomo che aveva affrontato tante situazioni con coraggio e determinazione. Appena mi presentai e capì chi fossi mi abbracciò così forte da alzarmi quasi da terra. Mi ringraziò facendomi una dedica: 'Mi companera di camino' (la mia compagna di strada). Il 'compagno' in spagnolo è proprio colui con cui dividi il pane. E lui ha voluto sempre che io l'accompagnassi. Ha lasciato un vuoto grande per i lettori, figuriamoci per me: un pezzo di vita che se n'è andato via".

Tradurre autori così grandi è una bella responsabilità.

"Spesso si parla di traduttore-traditore, secondo una convinzione per cui le traduzioni sono belle e infedeli, oppure brutte e fedeli. Non è affatto così. Il traduttore è costretto ad intervenire perché è il linguaggio ad avere dei limiti. Si pensi ai colori: in molte lingue colori per noi diversi hanno lo stesso nome. Come in spagnolo: azùl significa blu ma anche azzurro. Chi ha fatto il classico sa che gli autori greci scrivono che il mare ha il colore del vino. O ai pavimenti: in Italia dormire sul pavimento non può essere certo considerato comodo come nei paesi anglosassoni, spesso di legno o ricoperto di moquette. E immaginatevi quanto ciò possa essere ancora amplificato parlando della traduzione di sentimenti. Quando si traduce qualcuno si studia molto: io ho sempre pensato che avrei voluto che le mie traduzioni fossero così come le avrebbe scritte Sepulveda se fosse stato italiano".

Quando si può dire di una traduzione "fatta bene"?

"Io tendo a rimanere piuttosto aderente all'originale: bisogna trovare un equilibrio per portare agli italiani la lettura senza snaturarla e al tempo stesso renderla comprensibile. Si tratta di accogliere un testo e dargli una voce e un posto all'interno della nostra letteratura. Se non ci fossero state le traduzioni dell'enciclopedia, che ne sarebbe stato dell'illuminismo, o del romanticismo italiano? La traduzione fa dialogare le culture. Susan Sontag dice che la traduzione è il sistema circolatorio dei libri nel mondo: se non ci fosse, i libri rimarrebbero chiusi nei paesi e non circolerebbero".

Come ci si sente all'ombra di qualcuno?

"Questa è un po' la condizione psicologica del traduttore. Renata Colorni, traduttrice dell'opera ominia di Freud, dice che la disposizione psicologica del traduttore è quella di seguire qualcuno. Un po' come stare sulle spalle dei giganti. E' difficile scendere e adattarsi a scrivere ad un livello molto più basso. E' più facile per chi non ha tradotto. Forse i traduttori non pensano di aver qualcosa di importante da dire. Gli scrittori vanno incontrati personalmente perché è un modo di mettere a fuoco la loro lingua, metterli a fuoco psicologicamente. E' anche un modo per assicurarsi una coerenza perché quando conosci bene un autore poi riesci a restituirlo in modo coerente. Faccio fatica a separare i libri di Sepulveda, ma anche di Roberto Bolaño, che ho tradotto a lungo: si diventa traduttori del macrotesto".

A proposito, come si diventa traduttori di mestiere?

"Sono diventata traduttrice suggerendo libri agli editori. I suggerimenti non si sono rivelati buoni, perché proponevo libri dallo scarso mercato. Ma gli editori hanno iniziato ad affidarmi letture e traduzioni e piano piano mi sono avviata al mestiere. Credo che questo sia rimasto un metodo che funziona, so che ancora oggi è così. Certo, non è facile: rispetto alla nostra generazione gli studenti di oggi conoscono meglio le lingue, ma conoscono poco l'italiano".

Progetti per il futuro?

"Dopo oltre cento libri tradotti vorrei scrivere qualcosa sulla traduzione, non da studiosa ma da traduttrice. Se riuscirò a trovare il tempo sarà un racconto di esperienza. I traduttori usano stessa lingua degli scrittori: tradurre è una forma di scrittura".

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