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Cronaca

Scuola di baseball a Sollicciano: lo sport che favorisce l'integrazione

Partita in carcere per la squadra di detenuti "Solliball". L'allenatrice: "Si impara a rispettare le regole"

Studiano italiano in carcere. Poi succede che l'insegnante ha giocato per 40 anni a softball, una versione "light" e più accessibile del baseball. E ti insegna anche quello. E' "Baseball/Softball in carcere - integrazione attraverso lo sport", il progetto della scuola carceraria di Sollicciano coordinata da Claudio Perdon, e organizzato dal Centro provinciale di istruzione per adulti 1 di Firenze, in collaborazione con la direzione di Sollicciano, unico carcere in Italia dove si pratica questo sport. L'allenatrice Simona Grateni ci parla del team "Solliball".

Simona, com'è nato il progetto?

15 anni fa era stato proposto nel penitenziario di Rebibbia, a Roma, ma poi non se ne fece di niente. Dopo tanti anni in A1 e A2 adesso faccio l'allenatrice per passione, e così siamo riusciti a metterlo in pratica in via sperimentale a Firenze, dove insegno italiano agli stranieri di Sollicciano. 

Il baseball non è così popolare in Italia: quali sono state le reazioni quando lo avete proposto?

All'inizio tutti prendono per matta, ma presto hanno capito che era una buona idea. Così oggi stanno adattando il campo di Sollicciano per poter giocare anche a softball.

Quanti ragazzi hanno partecipato al progetto e di quali nazionalità?

Naturalmente tutti quelli che stanno in carcere vogliono fare queste iniziative. All'inizio si sono presentati 30 ragazzi, poi fra usciti e trasferiti sono 15 quelli che sono arrivati in fondo. Queste sono iniziative per chi frequenta i corsi per stranieri: hanno aderito marocchini, nigeriani, albanesi e altri dall'Est Europa. Poi c'erano anche un paio di cubani, che hanno una grande tradizione nel baseball. E oggettivamente la differenza tecnica si vede. 

E qual è stato il culmine del progetto?

Sabato scorso c'è stata una partita che, come lo scorso anno, abbiamo giocato contro le ragazze della Sestese. Il primo tempo abbiamo vinto 6-4, poi nel secondo abbiamo mischiato le squadre. E' stato un gran divertimento.

E quali sono i risultati ottenuti?

La vita di carcere isola, invece lo sport di squadra serve a conoscersi e migliora la comunicazione fra gruppi etnici diversi: ci può essere qualcuno che non sa parlare ma che si riscatta comunicando con il fisico. E poi usiamo lo sport per insegnare il rispetto delle regole. Vogliamo ringraziare gli agenti di polizia penitenziaria che ci hanno consentito di realizzare tutto questo.

Obiettivi per il futuro?

L'anno prossimo contiamo di replicare il progetto. C'è anche un'idea per dare ai ragazzi un brevetto di "Baseball Five" (che si gioca in palestra senza guantoni), in modo che possa rimanergli qualcosa in mano. E poi siamo andati a parlarne al Coni: il nostro obiettivo è esportarlo in tutti i carceri italiani. 

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