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Cronaca

I segreti del dialetto fiorentino e toscano

Possiamo dire che in generale il dialetto toscano non presenta grandi differenze dall'italiano, ma esistono comunque alcune discrepanze che danno vita ai vari vernacoli

Possiamo dire che in generale il dialetto toscano non presenta grandi differenze dall’italiano, ma esistono comunque alcune discrepanze che danno vita ai vari vernacoli: fiorentino, lucchese, livornese, aretino…

Una caratteristica prevalentemente toscana è quella di far scomparire o meglio aspirare le consonanti occlusive. Si tramandano leggende di toscani che riescono a pronunciare perfettamente “ho bevuto la Coca-Cola con la cannuccia corta corta”. Da ricordare anche l’uso di “dimorto” e di “un monte” al posto di molto (“Sono dimorto contento”).

In fiorentino molto frequentemente spariscono la T e la V, quando si trovano in posizione intervocalica come in anda’o/andato; ta’ola/tavola.

“Schi” si trasforma in “sti” e ne derivano mastio (maschio), stioccare (schoiccare), mustio (muschio), stiaccia’a (schiacciata). Per non parlare poi dei pronomi combinati glielo, gliela, gliele che diventano gnélo, gnéla, gnele, che se precedute da un verbo diventano: fàgnene, dìgnene.

Quando si aspira la C? La C volendo si può aspirare quasi sempre, ma diciamo che ci sono delle “regole”. Se si trova all’inizio e all’interno della parola ed è preceduta da vocale o se seguita da -A-O-U sempre all’inizio: la ‘asa, questa ‘ulla, le ‘ornici, e ‘ucchiài, la formihola, la buha.

Non si aspira se la C è preceduta da vocali che sono preposizioni, congiunzioni o se sono accentate (“si va a cavallo”; “capra e cavoli”) e se la C è seguita da E e da I: i ceci, la Cina, la cena, i cenci. La C non scompare neanche se preceduta da consonante, anche caduta, o se raddoppia: un cucciolo, un chiodo, I’ cavallo, i’ collo, i’ cormo.

Poi succede che nella stessa parola una C può essere aspirata mentre altre no è il caso di cortéccia e focàccia (in dialetto ’ortéccia e fohàccia).

Abbiamo qualche problema anche con la G: o la mettiamo dove non serve (gabina per cabina, guasi per quasi) oppure la pronunciamo troppo attenuata (“gente”). Stesso problema con la G l’abbiamo con la R infatti spesso la mettiamo al posto della L: arbino, cortello, Arfredo.

Un altro nostro “pezzo forte” è quello di trasformare il GH in D, infatti ghiaccio diventa “diaccio” e di conseguenza “diacciolo, diacciata, diacciato".

Un po’ come i francesi che chiamano il computer ordinateur, noi dobbiamo affermare la toscanità anche quando diciamo parole straniere ad esempio: rumme per rum, bisse per bis, fracche per frac, fillinghe per feeling.

Altri tormentoni toscani sono l’uso del “te” al posto del “tu” (in italiano “tu andresti?”, in toscano “te c’andresti?”), il raddoppiamento del pronome personale dativo (“a me mi piace”, “a te ti piace”) e il “noi si” con il “si” impersonale (“si va a mangiare, noi si va là”, in italiano “andiamo a mangiare, noi andiamo là”).

Un'altra abbreviazione che ci piace molto è quella di togliere il “-re” all’infinito dei verbi: andare - andà’; pèrdere - pèrde’; finire - finì’; mangiare - mangià’.

Fare e andare alle prime persone singolari del presente diventano “fo” e “vo”, questi troncamenti sono probabilmente dovuti dall’abbondante uso che ne facciamo nella lingua parlata.

Per concludere in bellezza come non parlare degli aggettivi possessivi. Mio, mia, miei e mie diventano mi’; tuo, tua, tuoi, tue diventano tu’; suo, sua, suoi, sue si trasformano in su'; (quella è la mia casa, in toscano quella è la mi’ casa; ho visto tuo padre, ho visto il tu’ babbo). E non dimentichiamoci che se l’aggettivo possessivo viene usato come pronome possessivo dopo il verbo, la forma plurale cambia, ad esempio: non sono affari tuoi, in toscano diventa un’ sono affari tua.

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