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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

«Tentò di staccare la luce a casa di Renzi fingendosi il premier» ma non c'è prova: assolto

Si è conclusa così la vicenda giudiziaria di un ex consulente Enel di Piacenza accusato di essersi finto l'allora premier, per tentare di staccargli la corrente di casa

Assolto dall’accusa di sostituzione di persona e condannato a 5 mesi e 10 giorni (pena sospesa) per accesso abusivo a sistema informatico. Si è conclusa così la vicenda giudiziaria di Ludovico Castiglioni, ex consulente del punto Enel di Piacenza. Lo scrive Il Piacenza.it. L’uomo, difeso da Carlo Alberto Caruso, era accusato di essersi finto Matteo Renzi e di aver chiesto a Enel nel 2016 di voler abbandonare il contratto di fornitura elettrica, lasciando così la casa toscana dell’allora premier senza luce.  Il 23 luglio davanti al giudice Sonia Caravelli (pm Antonio Rubino) ha parlato una collega dell’uomo, chiusa l’istruttoria l’accusa ha svolto la requisitoria, infine la parola è passata alla difesa, poi la sentenza.Secondo l’accusa, l’uomo, il 5 dicembre, si sarebbe introdotto e mantenuto «abusivamente nel sistema informatico della società Enel e, ottenuti i dati sensibili alla clientela si qualificava - con il nominativo di Matteo Renzi - fornendo agli operatori del call center di Enel dati tecnicamente corretti» chiedendo poi il distacco della fornitura elettrica dall’abitazione del leader di Italia Viva, a Pontassieve (Firenze).

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E in effetti, la casa rischiò di restare al buio. La scorta dell’ex premier aveva subito avvertito l’Enel quando una squadra di tecnici si era presentata per togliere l’energia elettrica. Le indagini del ministero dell’Interno avevano poi accertato che né Renzi né un’altra persona delegata avevano mai chiesto il distacco. Come testimone nel corso delle udienze era stato sentito Michele Bussolano, all’epoca dirigente dell’Enel che si attivò per questo caso e presentò un esposto alla Polizia postale. Subito dopo l’intervento di una squadra di tecnici a casa di Renzi, Bussolano venne allertato, visto che l’ex presidente del Consiglio era un cliente sensibile. Scattarono i meccanismi di sicurezza per quell’anomalia che riguardava uno dei vertici dello Stato.

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Si scoprì così, aveva continuato l’ex dirigente, che la richiesta era stata attivata da un call center. Risalendo a ritroso, Enel aver portato alla luce che c’erano stati almeno tre accessi al Pod (Point of delivery) dove sono contenuti i dati sensibili del cliente Renzi: anagrafici, fiscali, bancari (Iban). L’accesso a  questa banca dati è consentito agli operatori dell’Enel. Gli inquirenti hanno rilevato gli accessi. Il primo, il 6 dicembre era stato fatto da un dipendente che si occupava di fatturazioni. Si era, però, scoperto che un altro accesso era stato eseguito il 5 dicembre, anche si era trattato di un ingresso per visionare i dati, ma senza compiere alcuna operazione: tecnicamente, per l’Enel, si trattava di una “telefonata caduta”. Il 9 dicembre, un altro accesso a cui era seguito il contatto telefonico al call center per disattivare la corrente attraverso una telefonata fatta da una cabina a Vado Ligure. Secondo Rubino chi ha fatto la telefonata voleva compiere un gesto dimostrativo per dare fastidio e fare un dispetto. Ora, perché l’imputato dotato di password personali avrebbe mai dovuto accedere al profilo di Renzi se non per prendere il codice cliente e servirsi di questo per fingersi l’allora premier, visto e considerato che non si può entrare nei profili degli utenti e non per necessità e con validi motivi?

La difesa

Di diverso avviso la difesa. Caruso ha distinto i due fatti e quindi le due accuse perché non si è riusciti a metterli in correlazione. E’ vero che il suo cliente ha compiuto l’accesso informatico ma per «testare il sistema, esercitarsi nell’apprendimento di aggiornamenti usando un nome a caso. In quei giorni si parlava solo di Renzi ed è per quello che l’imputato ha fatto un’associazione mentale, poteva anche scrivere Mario Rossi». E ancora: «In tutta la sua carriera non ha mai ricevuto un richiamo né lamentele e specialmente nel giorno e nell’ora della telefonata si trovava a Piacenza: lo provano le celle telefoniche agganciate da 3 telefoni ma soprattutto l’accesso alla “stimbratura” sul posto di lavoro. In 18 minuti di certo non poteva essere a Vado e telefonare». In sostanza non è provato che Castiglioni abbia fatto quella telefonata fingendosi Renzi dalla Liguria, ma solo che abbia avuto la possibilità di avere il suo codice cliente nei giorni precedenti. Di lì quindi l’esito del processo. L'uomo fu licenziato nel 2019. 

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