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Cronaca

Filippine, coppia adottiva bloccata per Covid: “Che odissea”

I due lanciano un appello: "abbiamo scritto a Di Maio e Bonetti"

"I media si stanno occupando di noi perché le mie amiche, appena saputa la notizia, hanno preparato e diffuso un comunicato stampa. Io mi sono rivolta alle istituzioni italiane ma non ho ancora avuto risposte, che spero di avere quanto prima".

Così, da Manila, Elisabetta Ceccherini, raggiunta dall'agenzia Dire, racconta l'odissea che, insieme al marito Francesco Sozzi, la vede involontaria protagonista di una storia legata al mondo dell'adozione e alle difficoltà causate dal nuovo coronavirus.

La coppia, originaria di Firenze, è bloccata in quarantena in un hotel della capitale delle Filippine insieme a al figlio adottivo di otto anni, dopo che il bimbo è risultato positivo al Covid poco prima del rientro in Italia. 

"Nel fine settimana - racconta Ceccherini- il mio ente ha scritto alla Commissione per l'adozione internazionale governativa (Cai), che però sabato e domenica è chiusa e non ha un contatto di emergenza. Ci siamo allora rivolti ai funzionari dell'ambasciata italiana nelle Filippine, che ci hanno detto di essere dispiaciuti ma che dobbiamo aspettare il tampone negativo. Non mi sono arresa, questo è un percorso che ti insegna che, comunque, le devi provare tutte. Ho scritto innanzitutto al ministro degli Esteri Di Maio e all'Unità di crisi della Farnesina. E lo stesso ho fatto con la ministra Bonetti, in carica per la Cai e ministra per la Famiglia, perché è chiaro che la nostra è un'emergenza sanitaria internazionale ma il nostro caso è legato a una formazione di famiglia. Le ho provate tutte ma non mi sono arrivate risposte ufficiali. Tramite conoscenze mi sono pervenute risposte ufficiose, secondo cui tutti sono a conoscenza del nostro caso, tutti sono molto in apprensione per noi e si sono mossi per farci dare la migliore assistenza possibile". Sta di fatto che padre, madre e figlio sono ancora tra quattro mura di un hotel.

Ceccherini aggiunge che "dormiamo separati e mangiamo senza mascherina, ma è l'unico momento che la togliamo. E, naturalmente, igienizziamo qualsiasi cosa in continuazione. Da qui, però, non ci possiamo muovere, ci lasciano i pasti sulle sedie al di fuori della porta". Il bambino come ha reagito? "Nonostante le difficoltà della lingua e dell'ambientamento con noi, rispetta il fatto di dover tenere la mascherina e si disinfetta da solo le mani. Per fortuna, per ora stiamo tutti bene, non accusiamo sintomi, però dobbiamo diventare negativi per poter tornare a Firenze". 

E a Firenze c'è il fratello maggiore di 11 anni che aspetta tutti con trepidazione il loro rientro. "Moralmente la situazione è al limite del sopportabile. Non tanto per noi adulti, che ce la siamo voluta. Ma bisogna pensare che c'è un minore qui e uno in Italia che devono essere tutelati moralmente, perchè fisicamente per ora stanno bene". Cosa avete detto al piccolo? "A nostro figlio adottivo abbiamo cercato di spiegare la situazione in maniera generale, per non farlo sentire in colpa" la risposta di Ceccherini.

"E' comunque difficilissimo perché lui parla a malapena l'inglese e un dialetto filippino. Ho fatto anche disegni per aiutarlo. E' comunque molto dispiaciuto perché la prima cosa che ci ha chiesto quando ci ha visto è stata dove fosse il fratello maggiore, perchè era già pronto a giocare con lui con i Lego". I due fratelli si vedono attraverso gli schermi ma, ovviamente, non è la stessa cosa. E questo vale anche per Elisabetta e Francesco.

"Quando non parliamo la stessa lingua, un gesto o una carezza fanno più di mille parole e questo gli viene negato. In più il bimbo è chiuso qui in hotel, guarda continuamente la finestra, ha avuto anche crisi di pianto, a volte ha fatto fatica a mangiare. Noi, però, non ci arrendiamo. Dobbiamo fingere di essere tranquilli, perchè i bimbi sono il nostro specchio e noi tranquilli non lo siamo". Ceccherini rivolge poi anche un altro appello: "Mi farebbe piacere che il nostro caso servisse per portare alla luce il fatto che le coppie che cercano un percorso di adozione sono veramente abbandonate a se stesse" dice.

"Alcune, come la nostra, hanno la fortuna di poter contare su un ente professionale, formato da persone con grande umanità. Basti pensare che il nostro assistente sociale ci chiama tutti i giorni e che qui abbiamo una persona che ci dà assistenza. Ma non tutti gli enti sono così e non sono controllati in maniera regolare dall'ente chiamato a farlo". La donna tiene infine a precisare perché lei e il marito abbiano scelto l'adozione internazionale.

"Purtroppo, in Italia, i genitori come noi che hanno già un figlio biologico non vengono nemmeno presi in considerazione per l'adozione nazionale" denuncia.

"Da un certo punto di vista lo posso anche capire, perché ci sono persone che, a differenza nostra, arrivano all'adozione come ultimo passo per diventare genitori ma si potrebbe comunque poter accedere ad entrambi i canali".  
 

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