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Cronaca

I dolori del giovane Montale: 'Basta illusioni, spero di lavorare in banca"

La confessione del poeta trentenne in una cartolina del 1926 all'amico Giuseppe Lanza, nel carteggio pubblicato sul secondo numero della rivista "Quaderni montaliani" (Interlinea Edizioni): "Non ho appoggi, devo mettere la testa a posto. Spero di arrivare a un'atonia imbecille e tranquilla"

"Spero di impiegarmi a Milano, uno dei prossimi mesi, in qualche banca o azienda. È inutile continuare a farsi illusioni o sperare in chissà chi. Non appartengo alla categoria di persone che ottengono aiuti o appoggi. E ormai è tempo che metta la testa a posto. Di questo passo finirei al manicomio, e molto presto. Spero di arrivare a una specie di atonia tranquilla e imbecille che mi permetta di soffrir meno. Non chiedo niente altro".

Così il trentunenne poeta genovese Eugenio Montale (1896-1981) scriveva a un amico, lo scrittore Giuseppe Lanza, spedita da Genova il 3 giugno 1926, l'anno dopo la pubblicazione della sua prima raccolta di versi "Ossi di seppia".

Si tratta di una breve cartolina e non di una lettera, perchè all'epoca Montale non era "in condizioni di spirito da poterti scrivere", preoccupato com'era di non poter vivere solo di letteratura. La cartolina fa parte della corrispondenza inedita di Montale con Lanza pubblicata a cura di Gianfranca Lavezzi, professoressa di Letteratura italiana presso il dipartimento di studi umanistici dell'università degli studi di Pavia, sul secondo fascicolo di "Quaderni montaliani" (Interlinea Edizioni).

Le sessanta lettere inedite fanno parte dell'epistolario di Lanza conferito nel 2021 alla Fondazione Maria Corti di Pavia.

Le lettere di Montale a Lanza

Le lettere di Montale a Lanza, tutte comprese nel periodo 1925-1932 ad eccezione delle ultime due (1946), sono raggruppabili in due blocchi, divisi da un anno di silenzio epistolare, il 1930. Dal 1° luglio 1925, data della prima, al 2 dicembre 1929 le lettere sono quarantanove; dopo il vuoto del 1930, soltanto tre nel 1931 e sei nel 1932. Le lettere del primo gruppo (cinque del 1925, nove del 1926, diciotto del 1927, dieci del 1928, sette del 1929) sono ricche di osservazioni amicali, letterarie e culturali.

Compongono un colloquio fitto e affettuoso, in cui i due amici chiedono e danno vicendevolmente pareri e consigli su quanto vanno scrivendo e pubblicando: le commedie e le novelle per Lanza, le poesie per Montale, in un arco di anni fondamentale per entrambi, perché se il primo costruisce e raggiunge le prime tappe significative della sua carriera di commediografo e di narratore, il secondo è in un momento di passaggio decisivo, dagli "Ossi di seppia" alle "Occasioni", di cui il punto capitale è la costruzione della seconda edizione degli "Ossi".

Ma la rilevanza di questo periodo, spiega Gianfranca Lavezzi, investe l'intera storia e geografia della vita montaliana: il distacco da Genova e l'approdo a Firenze, il lavoro come consulente presso la casa editrice Bemporad, la rivista "Solaria" e le nuove amicizie letterarie, il passaggio alla direzione del Gabinetto letterario Vieusseux, le nuove poesie dopo gli "Ossi". Tutto si riflette in queste lettere, in modo più o meno esplicito, dove peraltro è molto presente l'insoddisfazione di Montale per il noioso lavoro impiegatizio alla Bemporad.

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