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Cronaca

Processo area di Castello, Domenici su Renzi: “Sapeva qual era la volontà”

L'ex sindaco Leonardo Domenici ha testimoniato nel processo sull'area di Castello. Poi ha criticato il gruppo Espresso: "Campagna di linciaggio mediatico"

Un nuovo teste ha testimoniato nel processo per i 168 ettari di Castello, area sequestrata per un presunto giro di corruzione. Il 26 settembre toccò all’attuale sindaco di Firenze, Renzi, allora Presidente della Provincia, ora all’ex primo cittadino Leonardo Domenici. Cinque mesi fa il sindaco Renzi spiegò come la convezione tra il Comune di Firenze e Fondiaria Sai fosse "contra legem". Proprio questa precisa espressione, che il sindaco dice di aver usato con il suo predecessore, non è stata però ricordata da Domenici. "In tutta franchezza ho provato a ricordare: è un'espressione anche particolare, ma non ricordo che sia stato sollevato questo tipo di osservazione, perlomeno non a me personalmente".

CONVENZIONE - La convenzione stabiliva che la Provincia in quell'area avrebbe dovuto trasferire la sua sede. L’ex Presidente Renzi, proprio perché la riteneva una questione contraria ai dettami legislativi, aveva preferito fare un bando di gara pubblico per reperire sul mercato una sede dove trasferire 900 dipendenti ed alcune scuole superiori, anziché accettare che progettista e costruttore del nuovo edificio a Castello venissero indicati in base alla convenzione. "Ho visto che il sindaco Renzi ha usato questa espressione in questo processo" ha aggiunto Domenici ma "con me non lo ha fatto". Anzi, ha proseguito l'europarlamentare, i tre livelli istituzionali coinvolti, Comune, Provincia di Firenze e Regione Toscana nel 2006, avevano firmato "un protocollo, con delle indicazioni precise. Quindi l'Amministrazione provinciale sapeva qual era la volontà e non c'era stata nessuna eccezione". Domenici, parlando poi con i giornalisti al termine della sua testimonianza, ha spiegato di "non voler sollevare polemiche".

Domenici non ha escluso che in un secondo momento Renzi abbia potuto far notare come nella trasformazione urbanistica di Castello vi fosse una clausola da ritenersi controversa: "Sono due cose diverse" ha sottolineato fuori dall'aula. "Se mi chiedete se io fossi entusiasta di quella che era un'eredità della giunta precedente - ha proseguito Domenici a proposito del fatto che il privato, cioé Fondiaria-Sai, avrebbe costruito anche gli edifici pubblici - vi dico con chiarezza di no. Ma avevamo le mani legate: quella cosa c'era e dovevamo farci i conti". In aula, rispondendo al pm Gianni Tei che insieme alla collega Giuseppina Mione sostiene l'accusa, Domenici aveva negato che l'ex assessore Graziano Cioni avesse chiesto il sostegno di Fondiaria per il progetto del nuovo stadio nell'area e ha ricordato di non aver mai apprezzato il Parco di 80 ettari previsto nella piana: "C'era un problema di risorse per la sua realizzazione e ci sarebbe stato un problema anche per la gestione". "Per questo, quando si prospettò l'ipotesi del nuovo stadio in quell'area - ha proseguito l'ex sindaco ricordando l'ipotesi dei Della Valle e il suo tentativo di mettere d'accordo Salvatore Ligresti con l'allora presidente della Fiorentina Diego Della Valle - io la vidi come la manna. Un parco di 80 ettari fatto solo di fiori, piante e alberi non esiste. Poi con il sequestro dell'area è cambiato tutto".

CRITICHE – A margine della deposizione Domenici ha criticato una parte di stampa in particolare “C'é stato un gruppo politico-editoriale che per le sue scelte ha voluto aprire una campagna di linciaggio mediatico semplicemente perché l'ingegner Carlo De Benedetti riteneva che per far svoltare il Pd bisognava decapitare un'intera generazione di gente che proveniva dai Ds, Pds e prima ancora dal Pci". "Si è deciso, a freddo, di fare una campagna mediatica di linciaggio" ha aggiunto Domenici ricordando di aver querelato l'Espresso per quanto scritto nel 2008 sulla vicenda sullo sviluppo dell'area di Castello, che tra gli imputati al processo in corso vede, tra gli altri, anche due ex assessori della sua giunta, Graziano Cioni e Gianni Biagi, più chiaramente Salvatore Ligresti. A proposito di Cioni e Biagi, Domenici ha ricordato di aver avuto varie "pressioni politiche" perché gli ritirasse le deleghe dopo la notifica dell'avviso di garanzia. "Non lo feci per due ragioni: non ritengo che un avviso di garanzia, con indagini ancora in corso - ha detto - sia un elemento sufficiente per un sindaco, a meno che non abbia altre informazioni e notizie criminis, per sfiduciare un assessore. Poi un pubblico ministero conosce un imputato per il periodo relativo alle indagini, al processo, ed è importante, ma quando conosci delle persone da una vita questo conta, e conta molto nel giudizio che hai".
 

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