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Cronaca

Continenza di Scipio: disputa Firenze-Londra per l’opera di Van Dyck

Una disputa nel mondo dell'arte tra Londra e Firenze potrebbe negare l'attribuzione della "Continenza di Scipio" del fiammingo Antonie Van Dyck al college Christ Church di Oxford

Disputa nel mondo dell’arte per l’attribuzione del celebre dipinto la 'Continenza di Scipio’ del pittore fiammingo Antonie Van Dyck (1599-1641). Fino a ieri si credeva che l’opera, tutt'ora ritenuta l’originale, si trovasse al college Christ Church di Oxford. Ma ieri durante una mostra al British Institute di Firenze è stata avanzata l’ipotesi che l’autentico si trovi in una collezione privata fiorentina. Quest’ultima di proprietà di Angiolo Magnelli, che per quasi quaranta anni l’ha tenuta in salotto, studiandola fino a coinvolgere emeriti critici d'arte. La controversia fa leva anche sul fatto che la tela di Oxford possa esser stata tagliata su tre lati privandola di simboli decisivi per l'attribuzione a Van Dyck.  

La curatrice della Galleria dei dipinti della Christ Church, Jacqueline Thalmann, già ieri aveva spiegato come, a dir loro, l’opera britannica fosse quella veritiera. Ma in Italia due studiosi come Salvatore Settis e Anchise Tempestini stanno lentamente demolendo questa convinzione. "Potrebbe essere un Rubens, ma non è Van Dyck e non c'é Scipione nel dipinto di Oxford", sostiene da anni Settis che in un messaggio al British scrive di "quadro importantissimo e assai intrigante". Anchise Tempestini ritiene che "a Oxford non ci sia la 'Continenza di Scipione' ma un altro soggetto, un episodio della vita di Alessandro Magno. Non siamo a Carthago Nova, in Spagna, e non si vede Scipione l'Africano - dice Tempestini -. Ci sono colonne orientali che portano altrove, né a Roma, né nella Penisola Iberica. Mentre nel quadro di Firenze i caratteri romani sono ben evidenti: c'é il littore con il fascio e l'atmosfera è quella". Il British Institute mostra per la prima volta una riproduzione del quadro di Firenze, e, accanto, un'altra del quadro di Oxford dove si evidenziano tagli di tela su tre lati, il destro, il sinistro e quello superiore. 'Ferite' inferte nel Dopoguerra, come si evince da una stampa in bianco e nero di primo '900. ''Come si vede da riproduzioni degli anni '30, le tre strisce tolte mostrano un tempio e simboli greco-orientali e non cartaginesi, elementi estranei a 'La continenza di Scipiò", dice Angiolo Magnelli, che lotta per l'attribuzione del suo quadro, avendo già ottenuto una notifica del ministero dei Beni culturali. Secondo Magnelli "le parti levate al dipinto di Oxford dovrebbero essere ancora conservate nell'archivio di un restauratore o dello stesso college Christ Church e gli inglesi dovrebbero cercarle". Ma perché tagliare quella tela? In Italia si ipotizza che c'erano forti dubbi che fosse un Van Dyck e perciò serviva un 'aiutino'.

REPLICA - Il college oxfordiano replica anche a una delle critiche mosse dall'Italia: nel quadro della Christ Church furono dipinti i Gorgoni, sculture che effettivamente arrivarono a Londra nel 1627 dagli scavi di Smirne: secondo gli studi italiani però Van Dyck non poté vederle perché era a Roma ed Anversa e tornò a Londra nel 1632, né poté riparlare col committente dell'opera, il duca di Buckingham, ucciso in un agguato nel 1628. Pertanto ad Oxford non ci sarebbe la 'Continenza di Scipio'. Per il college, però, la datazione degli scavi in Asia minore "non inficia i decisivi argomenti stilistici e iconografici" essendo questa "opera di Van Dyck e il soggetto 'La continenza di Scipio'". Tuttavia, scrive la direttrice Thalmann, "ci sono due possibili spiegazioni circa l'apparizione del reperto nel dipinto. Potrebbe essere un'aggiunta successiva, quando Van Dyck ritornò dall'Italia", oppure "sarebbe anche concepibile che il reperto fosse in Inghilterra prima dell'autorizzazione ufficiale agli scavi" data dalle autorità ottomane. "Rimaniamo fermamente del parere - conclude la lettera della Christ Church - che la tradizionale identificazione dell'artista e del soggetto è corretta e che la proposta alternativa di Tempestini non è convincente".

L’autenticità della tela è stata ancora una volta “difesa” dalla direttrice che ha inviato una e-mail al British Institute scrivendo che "non è d'accordo con l'identificazione di un altro soggetto o con la sua reattribuzione"  sostenendo di avvalersi anche del parere dei maggiori studiosi di Van Dyck e Rubens in Inghilterra, Olanda e Spagna.
 

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