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Cronaca Centro Storico / Via Ghibellina

Il Teatro Verdi prima era una prigione

I primi prigionieri, nel 1304, furono i ghibellini sequestrati nella presa del castello delle Stinche, che si trovava nei pressi di Greve in Chianti, appartenente ai Cavalcanti

Nel cuore di Firenze, in via Ghibellina, proprio dove adesso si trova il Teatro Verdi sorgeva la carcere delle Stinche. Furono costruite dal 1299 dalla Repubblica fiorentina utilizzando le pietre delle torri e case distrutte della famiglia Uberti (ghibellini cacciati dopo la battaglia di Benevento).

I primi prigionieri, nel 1304, furono i ghibellini sequestrati nella presa del castello delle Stinche, che si trovava nei pressi di Greve in Chianti, appartenente ai Cavalcanti.

Nella prigione vennero incarcerati soprattutto i prigionieri di guerra e i colpevoli di reati politici. La prigione ospitò buona parte dei nemici politici del tiranno Gualtieri VI di Brienne e fu presa d'assalto dai fiorentini insorti alla sua cacciata. Per ricordare l'evento fu affidato all'Orcagna un affresco, la “Cacciata del Duca d’Atene", dove sant'Anna riconsegna ai fiorentini le bandiere delle Arti, mentre un angelo caccia dalla città il dispotico Gualtieri. L'affresco, già nel cortile del carcere, è stato staccato e oggi è nel museo di Palazzo Vecchio.

Le Stinche furono parzialmente demolite nel 1833, e sul suolo furono eretti una sala per spettacoli equestri e una sala per la Società Filarmonica Fiorentina, la quale lo trasformò in un teatro, detto "di Pagliano", oggi teatro Verdi. Dopo la chiusura del carcere delle Stinche, la zona penitenziaria si spostò nel complesso delle Murate.

Le Stinche erano una costruzione quadra, recintata da una muraglia di 18 metri, continuo e privo di aperture e circondato da un fossato: per questa caratteristica furono soprannominate "Isola delle Stinche".

La prigione aveva un unico ingresso: una piccola porta con sopra scritto Oportet misereri (“occorre compatire”, in quanto il mantenimento dei detenuti era basato sulla carità dei privati, non sul denaro pubblico) e il popolo la chiamava la "Porta della miseria”.

Lungo via Ghibellina passavano i tristi cortei dei condannati che andavano verso il luogo delle esecuzioni capitali: la torre della Zecca. Per dare conforto, con rappresentazioni sacre, ai malcapitati lungo tutto il percorso furono eretti una serie di grandi tabernacoli.

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