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Cronaca

'Caccia' agli americani, dall'ospedale parla il giovane accoltellato: “Incontrerei chi lo ha fatto. Non strumentalizzare, serve più accoglienza”

Il 28enne è la persona rimasta ferita più gravemente: “Se quell'uomo fosse stato seguito forse non sarei qui ricoverato”

Parla dalla stanza dove è ricoverato, all'ospedale di Careggi. Per fortuna non più in terapia intensiva, ma in via di guarigione e pronto ad uscire. Domani, giovedì, dopo una settimana, se le ultime analisi confermeranno il decorso positivo della guarigione.

“Vi ho contattato per poter dire la mia, vedendo che il mio caso è stato strumentalizzato brutalmente”, dice il giovane di 28 anni accoltellato mercoledì scorso in piazza Indipendenza dal 31enne curdo finito su tutte le cronache come l'autore della cosiddetta 'caccia agli americani'.

Una serie di aggressioni (è accusato di averne portate a termine sei) al termine delle quali il 31enne, ora a Sollicciano, è stato arrestato per tentato omicidio e per resistenza a pubblico ufficiale.

Il tutto per 'rabbia' - se così si può dire, non conoscendo il suo stato di salute mentale - contro gli statunitensi, dopo che il governo Usa ha deciso il ritiro delle truppe dall'Iraq e quindi dalla coalizione anti Daesh. Iraq dove i soldati a stelle e strisce erano presenti dal 2003, dopo la deposizione di Saddam Hussein.

Ma torniamo al ragazzo accoltellato. E' stato lui stesso a scrivere una mail a FirenzeToday, chiedendo di essere contattato. “Non sopporto che la vicenda venga accostata a simili strumentalizzazioni. Le destre hanno preso a pretesto il mio episodio per tornare a chiedere un Centro di permanenza per il rimpatrio (al quale in realtà è favorevole anche il sindaco Dario Nardella, ndr) e per criminalizzare l'immigrazione”, spiega il giovane, chiedendo di poter restare anonimo.

“Mi è intollerabile perché io stesso, attivista politico ed impegnato nel volontariato, sono sceso in piazza tante volte in manifestazioni in sostegno del Kurdistan e contro le politiche che criminalizzano il fenomeno migratorio e lo 'straniero'”.

Parole che arrivano, ricordiamolo, dopo un accoltellamento che poteva costare molto caro. “Anche a me ha chiesto 'where are you from'? Stavo rispondendo in inglese e mi ha sferrato tre colpi. Uno all'addome e due alla testa. Lì per lì non me ne sono accorto e non ho provato dolore. Pensavo ad un tentativo di furto. Poi ho visto il sangue sulla maglietta e miei amici hanno chiamato l'ambulanza”.

Per fortuna la ferita all'addome, la più grave, sottile ma profonda, non ha toccato il colon. “Meno male, altrimenti sarebbe stato tutto molto più serio. Ma voglio dire - sottolinea il giovane -, che tutto questo conferma che c'è bisogno di più accoglienza”.

In che senso? “Mi spiego. Questa persona, che forse ha anche disturbi psichiatrici, è sottoposta ad una vita dura, di strada, sicuramente ha sofferto di disturbi da stress post traumatici, fuggendo da un contesto di guerra e magari da difficoltà che non possiamo nemmeno immaginare. Se fosse stata aiutata, assistita e seguita di più, in un percorso ad hoc, io probabilmente non sarei qui ricoverato. In questo senso servono politiche che garantiscano maggiori accoglienza e integrazione, non meno”.

Quella persona avrebbe potuto ucciderlo. Ma nelle parole del 28enne non c'è risentimento. Tutt'altro. “Se ci fosse l'occasione lo incontrerei. Vorrei sapere la sua storia, gli chiederei come sia arrivato ad una disperazione tale da compiere questi gesti. Mettendomi nei suoi panni, tra i due, mi sento io quello fortunato”. Parole che non ti aspetti e che, sicuramente, faranno discutere.

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