“L'isola d'Elba è tutta bella e per un ciclista come me è difficile scegliere un posto del cuore… forse posso suggerirvi un percorso?”. Stefano Farkas oltre a essere un ciclista è un grande vignaiolo, anche se avremmo timore a chiedergli quale delle due passioni prevale sull’altra. Di chilometri ne ha pedalati parecchi e le sue vendemmie nel Chianti Classico erano già una trentina (la prima? Datata 1974), quando girò il manubrio verso il mare decidendo di cambiare vita. È nato a Roma, il cognome ha origini ungheresi (significa “lupo”, qualcuno lo trova coerente con la sua indole selvatica) e fu suo padre a rilevare Villa Cafaggio alla fine degli Anni ‘60, in quel di Panzano in Chianti, “un territorio eccezionale, dove la vigne si alternavano al bosco, agli oliveti, ai seminativi, ed erano però coltivate badando soprattutto alla quantità”.
Dal vino sfuso all’apice dell’eccellenza
Il vino sfuso aveva buone quotazioni e la giostra girò al meglio per diversi anni, finché non vennero a mancare i grandi acquirenti (industriali del vino dai marchi consolidati) e si dovette fare di necessità virtù, organizzandosi per imbottigliare in proprio. Stefano Farkas puntò all’eccellenza e Villa Cafaggio divenne un faro per l’enologia del comprensorio, basti pensare al successo riscosso del Chianti Classico Riserva Basilica Solatio, del San Martino e del Cortaccio. Eppure questa è un’altra storia rispetto a quella che raccontiamo oggi, nata proprio nel tagliare i ponti con la realtà chiantigiana.
All’alba del nuovo millennio si affacciarono complicazioni societarie, famigliari, che indussero Farkas a mollare tutto “mentre viaggiavamo sulle 500.000 bottiglie annue”. Dice lui stesso che avrebbe potuto dedicarsi al riposo, alla bicicletta, alla pesca, ma gli brillano gli occhi mentre racconta di una galeotta manifestazione enogastronomica a Marciana Marina, approccio sentimentale con l’Elba, e di quando vi tornò per immaginarvi casa: “Avevo soldi da investire ed ero ancora piuttosto giovane, fu così che accettai la sfida di fare vino su quest’isola” la più grande e rappresentativa dell’arcipelago toscano.
Dai Focesi a Farkas, passando per Napoleone
Un’isola in cui la viticultura ha storia e tradizione assai radicate: introdotta anticamente dai Focesi, popolo di origine greca, si diffuse grazie a Etruschi e Romani e in epoche moderne raggiunse il picco col governo napoleonico. A fine ‘800 la superficie vitata era un quinto di quella totale, i muretti a secco terrazzavano i colli per ospitare circa 32 milioni di viti, patrimonio poi decimato dalle svolte politiche ed economiche della nostra epoca.
L’avamposto scelto nel 2005 da Farkas è situato in una verde vallata nel comune di Portoferraio, colli sinuosi e profili dolci, contesto selvaggio da cui non si scorge il mare: “A volte penso di essere nel Chianti”. È la Valle di Lazzaro che dà nome al suo progetto (Lazarus quello scelto per i vini), avviato da una colonica dell’Ottocento con mura e terreni da ripristinare, vigneti da reimpiantare: tanto lavoro e tanto pedalare, giorno dopo giorno, mentre ogni curva svela inediti scenari. Nel 2010 ecco la nuova “prima” vendemmia, nonché il primo confronto con l’attitudine bianchista dell’isola.
Lazarus, non solo Ansonica e Aleatico
Uva bianca all’Elba significa innanzitutto Ansonica, “una varietà particolare, che richiede molta attenzione per preservarne l’acidità, gli aromi” con i suoi sentori agrumati e spiccata sapidità. Significa Trebbiano, anzi Procanico, “un clone dal chicco piccolo, succoso”, che Stefano vinifica in purezza così come fa per il Vermentino, lo Chardonnay. E così come fa per il buon vecchio Sangiovese, che qua diventa un sorprendente Elba Rosso DOC. Vini freschi, gioiosi, precisi e caratteriali, sempre buoni e mai banali, non ultimo l’autoctono Aleatico, da uve passite sui graticci, ottimo con i dessert (si consiglia l’abbinamento con la Schiaccia Briaca, dolce a base di frutta secca) o ancor meglio in solitaria, magari affidando lo sguardo a un bel tramonto. Dopo decenni in cui la vocazione turistica dell’Elba aveva viziato i produttori (il vino si vendeva tutto e bene, comunque fosse), con Farkas e altre ottime aziende il livello medio si è elevato, così che a guadagnarne è anche la cucina locale.
Piatti e scorci tipicamente elbani
A tal proposito, forse Stefano vuol consigliarci un piatto tipico? “Le buone ricette sono tante, abbiamo l'imbarazzo della scelta. Mi viene in mente il polpo arricciato: per tre volte immerso brevemente in acqua bollente con un po’ di peperoncino, in modo che i tentacoli si arriccino in modo particolare. Poi va condito con olio extravergine di oliva, qualche pezzetto di aglio fresco e prezzemolo abbondante”.
E quel giro “del cuore” di cui ci accennava all’inizio? “Apprezzo molto l’anello occidentale, ovvero quello che si può percorrere da Procchio in direzione Marina di Campo, così da ammirare le spiagge di Cavoli, di Fetovaia, per poi passare da Pomonte, Chiessi, Punta Nera, fino a Sant’Andrea e Marciana, scendere dal Poggio a Marciana Marina e tornare a Procchio. O, nel mio caso, a Portoferraio”. Anzi, nella Valle di Lazzaro, laddove si producono alcuni dei vini che meglio raccontano il carattere indomito di Farkas e dell’isola d’Elba.