Venerdì di sciopero a scuola: genitori in affanno per non "abbandonare" i figli
A cura di Federica Sazzini
Oggi è stato indetto uno sciopero. Sono le otto e cinquanta. I bidelli e la maestra del mattino sono in classe. “A che ora devo venire a riprendere mia figlia”, chiedo con molto tatto. “Non lo sappiamo”, mi risponde secca la maestra.
Non lo sanno perché la dirigenza ancora non gliel’ ha comunicato. Sono le otto e cinquanta e ancora non conosciamo il destino dei nostri bambini. Sento la lancetta dei secondi che ticchetta nella mia testa. Devo prendere una decisione. É una roulette russa.
Mi riprendo mia figlia e la tengo con me tutto il giorno o rischio e la lascio sapendo che potrebbero sbatterla fuori di scuola in un qualunque orario fra le dodici e le tredici e trenta?
Cerco di ragionare, ma ho dormito poco, sono tesa, oggi sarà una giornata difficile. In mattina ho un intervento importante, non posso andarmene a metà, faccio la ferrista. La baby sitter è malata e mio marito è fuori per lavoro, non c’è mai quando serve. Dove c**o metto la bambina?
Vabbè, me la tento. La lascio qua. Se almeno la dirigente sapesse dirmi adesso che la sto lasciando a che ora andarla a riprendere forse riuscirei a trovare qualcuno che me la raccatta. Un collega, un’amica, andrebbe bene anche un conoscente. Poi me la portano in ospedale, lì da qualche parte la piazzo.
Accidenti a me e a quando ho messo al mondo questo coso non autonomo. Sono le otto e cinquantuno. Tengo ancora stretta fra le mie la mano di mia figlia. Lei tira, vuole entrare. “Ma avete un’idea, più o meno, di quando devo venire a riprenderla?” La maestra mi guarda, allarga le braccia, proprio non lo sa. Vabbè, me la tento. Se va male questa volta la lascio a scuola. Qualcuno se ne occuperà. Non me la butteranno in mezzo una strada, no?
Sono le otto e cinquantadue.Nora entra felice, saltella. “Ciao mamma” Io la saluto con un cenno sconfitto e scappo all’ospedale. Mi sento una merd*.
Questo è, più o meno, quello che accade alla scuola dell’Infanzia Marconi di Firenze ogni volta che viene indetto uno sciopero. Al momento dell’ingresso dei bambini non si sa a che ora andarli a riprendere. Si deve vivere con il cellulare in mano aspettando la chiamata della rappresentante di classe (nemmeno della segreteria, si badi bene!) per sapere a che ora andare a riprendere i bambini. E a quel punto tocca scattare, mollare qualunque cosa si stia facendo, smuovere mari e monti e precipitarsi a scuola. É uno scandalo. E io oggi sto pensando di fare come la donna immaginaria di questo monologo, e di non andare a riprendere mia figlia. Solo che poi so che non lo farò, perché non voglio che mia figlia si senta abbandonata. La abbandona già la scuola, può bastare.