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Giovedì, 28 Marzo 2024
Diario di una donna

Diario di una donna

A cura di Federica Sazzini

Quoziente familiare: “Una giusta causa” oppure no?

A cura di Federica Sazzini

Del film “Una giusta causa” in cui Felicity Jones interpreta la giudice Ruth Baden Ginzburg, paladina dei diritti civili negli Stati Uniti, mi è rimasta impressa una battuta che non viene pronunciata da lei ma dal marito, Martin Ginzburg, che è stato un noto avvocato specializzato in legislazione fiscale. Vado a memoria e dice più o meno così: “Come uno Stato decide di tassare i propri cittadini dice tutto sulla scala di valori che ha”. In questi giorni, essendo genitore di tre figli piccoli, seguo con particolare interesse la disputa intorno all’introduzione di un qualcosa che vagamente somigli al quoziente familiare alla francese, ovvero un sistema di tassazione che tenga conto dell’effettiva composizione del nucleo familiare e non solo dei redditi dei singoli.

Nel mio caso, come in quello di molte altre famiglie, abbiamo due redditi da lavoro dipendente e tre piccole personcine che di reddito non ne hanno alcuno ma che dipendono dal nostro. L’assegno unico ha di fatto spazzato via quasi tutte le detrazioni per figli a carico, e quindi, se si ha un reddito medio alto come il nostro (abbiamo circa 41000 euro di ISEE che in Italia è considerato alto), per tre figli minorenni percepisco complessivamente circa 200 euro al mese (meno di 70 euro a bambino). 

Al momento, avendo le due figlie maggiori iscritte alla scuola statale Marconi di Firenze, spendo circa 250 euro al mese di mensa scolastica. In parole povere, con l’assegno unico non copro nemmeno i loro pranzi.
Non vi racconto tutto questo perché penso che la mia sia una realtà speciale o diversa da tante altre, ma per invitarvi a riflettere.  In molti sostengono che il quoziente avvantaggi la famiglia a monoreddito elevato e scoraggi il lavoro del coniuge che percepisce di meno, in genere la donna.

Però se guardiamo al paese in cui esso è applicato, ovvero la Francia, troviamo che l’occupazione femminile è al 62% mentre in Italia è al 51,3%. In Francia ogni donna ha in media 1.83 figli, in Italia 1.24. Sembrerebbe
quindi che in Francia le donne lavorino di più e abbiano più figli, nonostante, o forse mi verrebbe da dire grazie, a una tassazione che tiene conto dell’effettivo numero dei familiari a carico.

La Consulta, con la sentenza 179 del 15 luglio 1976, dichiarò il cumulo familiare dei redditi incostituzionale, per la disuguaglianza di trattamento tra nuclei formati da coniugi e quelli di soli conviventi. "La soggettività sia riconosciuta — scriveva nella sentenza allora la Consulta — ad ogni persona fisica con riguardo alla sua capacità contributiva". 


Non nego che sussista il rischio che la donna, che solitamente ha un’aliquota più bassa, finisca con il quoziente familiare ad avere una tassazione più alta. Ciò però non toglie che il tenore di vita di una famiglia, come ad esempio la possibilità di avvalersi di un aiuto per la gestione familiare (colf, baby sitter o badanti) o di investire sulla formazione dei propri figli o potersi semplicemente permettere di portare i bambini una settimana in più al mare, dipende dalla somma dei redditi diviso il numero di componenti. É semplice matematica.

Non vogliamo penalizzare la persona con reddito più basso? Mi sta bene, ma allora moduliamo la tassazione introducendo in maniera distinta il quoziente familiare nel calcolo delle tasse dei due coniugi. Però, mi viene da aggiungere, in qualche modo della presenza di familiari a carico, siano essi figli o anziani non autosufficienti, dobbiamo pure tenerne conto.

E invece ad oggi io e mio marito verremmo tassati nello stesso modo anche se non avessimo avuto figli. Ma vi posso assicurare che il nostro tenore di vita sarebbe molto diverso. Come tassiamo i nostri cittadini dice molto della nostra scala di valori. E così mi sorge il dubbio che tutte le figure “a carico” nella nostra società, che siano essi bambini, anziani o disabili, in Italia contano veramente poco. O forse nulla.
 

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