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Diario di una donna

Diario di una donna

A cura di Federica Sazzini

Non importa studiare economia per capire il consumismo, basta un temperamatite

A cura di Federica Sazzini

Ci sono oggetti della vita di tutti i giorni che ormai non osserviamo più. Sono così perché sono sempre stati così. Nemmeno ce ne domandiamo più la ragione, a meno che qualcuno, il più delle volte un bambino, non ce lo chieda.
Ieri una delle maestre di mia figlia mi ha detto di acquistare dei nuovi temperamatite per la classe.

“Vede, fatti come questi, con due buchi, uno per le matite grandi e uno per quelle piccole”, mi diceva mostrandomi uno dei loro temperini. Io lo osservo, dico che non c’è nessun problema, è una spesa minima. Poi però...mi viene da domandare per quale ragione hanno bisogno di altri temperini.

“Questi non tagliano più”, mi risponde. Mi allontano fissandomi mentalmente questa nuova voce nella lista della spesa che quotidianamente mi rigiro nella testa al mattino. Poi, dopo neanche venti passi, mi fermo. E torno indietro.

“Me li può dare i temperini che non funzionano più?”. La maestra è stupita ma me li allunga senza commentare. Tanto non funzionano. Arrivo a casa e li guardo. I temperamatite hanno una vite che serra le lame. Le viti costano.

Un’incollatura sarebbe più economica. Eppure li fanno con queste piccole viti. E la ragione è semplice. Le lame possono essere riaffilate. E così prendo un cacciavite, sfilo la lama, la affilo strusciandola sulla pietra sui cui normalmente affilo i coltelli da cucina. Quindi riavvito il tutto. I temperini funzionano perfettamente, non hanno mai temperato così bene.

Oggi li ho riportati alla maestra. Si è stupita, non aveva idea che si potesse fare una cosa del genere, come del resto fino a ieri non l’avevo nemmeno io.

Perché ormai siamo abituati a buttare. É un gesto che fa parte di noi, della nostra società, del nostro modo di vivere. Noi buttiamo. Pensateci, è forse uno dei gesti che fate più di frequente nel corso della giornata. Ci hanno insegnato a fare la differenziata, a separare i materiali per consentire un riciclo. Ma quel gesto sempre lì rimane. Noi non ripariamo, non aggiustiamo, non sistemiamo, non curiamo. Noi buttiamo.

Perché è più facile, perché così gira l’economia, perché buttare è la base del consumismo. Ma è anche la base dell’inquinamento, la base delle emissioni clima alteranti, la base di un sistema che vede ciò che acquistiamo destinato presto o tardi a diventare scarto. E anche se la lama del temperino può essere riaffilata, siamo così abituati a buttare che nemmeno notiamo quella piccola vite che sta lì a dire: Hey, svitami, sono qui apposta.

Mi viene in mente una vecchia gag di Camera Caffè. Il sindacalista Luca guardando i bilanci scopre una voce di spesa esagerata per le pinzatrici. Ne sono state acquistate un centinaio. Eppure, si dice, lui non c’entra, di ammanchi ne fa molti ma su quelle no.

E poi vede Paolo che si avvicina con una spillatrice in mano. Sta inveendo: “Ma possibile che finiscano subito queste pinzatrici, non durano nulla”, esclama gettandola nel cestino della spazzatura. Mi faceva tanto ridere. Era una gag assurda, ma adesso, a ripensarci ora, non mi sembra più tale.

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