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Diario di una donna

Diario di una donna

A cura di Federica Sazzini

Sono una ingegnera energetica con phd in ingegneria industriale, eppure quando mi sono diplomata al liceo classico mai avrei pensato che avrei fatto questo nella vita (e mia madre tuttora si domanda come sia stato possibile che sia finita a trascorrere la mia vita fra i numeri). Amavo leggere e non ho mai smesso di farlo. Poi, come spesso accade quando si legge tanto, mi è venuta la voglia di scrivere. Nel frattempo sono diventata mamma di tre figli piccoli che assorbono le mie migliori energie. E così adesso quelle che mi restano le sfrutto per scrivere articoli, racconti e romanzi.

Diario di una donna

Figli nell'ovatta: finita l'epoca dei calzoni corti? 

A cura di Federica Sazzini

“La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta” dice Confucio. Mi viene in mente questa frase proprio mentre apro il cassetto dei pantaloni di mia figlia. É il 22 maggio, è arrivato il caldo, tanto, troppo e tutto insieme. Cerco i calzoni corti, li sfilo da sotto la pila dei jeans, li poso sulla sedia. Mia madre mi passa accanto, getta uno sguardo distratto sul capo di vestiario che ho scelto. “Ma che fai, sei matta? Le metti i pantaloni corti? E se cade?”. In un attimo vengo colta dal dubbio.

E se cade? Potrebbe rovinarsi le ginocchia sull’asfalto del cortile scolastico. Mia figlia non è stoica. Me la immagino piangere disperata, divincolarsi nel tentativo di allontanare l’epidermide lacerata dal disinfettante, lamentarsi per ore del dolore e poi del fastidio. E poi muoversi circospetta, evitare di scivolare sulle ginocchia quando si lancia lungo il corridoio di casa, scrutare il formarsi della crosta, allarmarsi quando si spezza o ingiallisce.

Mia madre mi guarda. Ha la stessa espressione che aveva da bambina, non è cambiata. Mi torna in mente quello sguardo catturato da una delle rare foto della sua infanzia. Aveva un caschetto corto, calzettoni bianchi e pantaloni ben sopra le ginocchia.

Fino agli anni ’70 i bambini portavano i calzoni corti, dovevano aspettare la prima comunione per avere il primo paio di braghe lunghe, come si chiamavano allora. Non era moda, era necessità. I vestiti costavano ed era molto meglio un ginocchio sbucciato che un pantalone strappato. I bambini crescevano e inanellavano cicatrici sulle ginocchia al pari dei cerchi di accrescimento dei tronchi.

Ed ora? Adesso no. Adesso i vestiti costano poco, un paio di pantaloni si butta via anche se non è consumato, talvolta solo perché non ci piace più. E le ginocchia dei nostri figli restano lisce e levigate. E ripenso al detto di Confucio.

La forza di risollevarsi da una caduta ha senso se quella caduta l’abbiamo sofferta. Sennò è solo ginnastica. Non credo che i nostri figli debbano essere allevati nel dolore, ma evitargli ogni piccolo fastidio non gli sarà di aiuto nella loro crescita.

Per imparare a cadere, e poi a rialzarsi, bisogna sapere che la caduta comporta dolore. Questo ci spinge ad essere più attenti, circospetti, a capire che le nostre azioni hanno delle conseguenze, e che quando si sente male fa proprio male, nessuna attenuante, nessun santo a cui votarsi. Poi però, anche se fa male, dopo un po’ passa, lo si supera, e così ci si scopre più forti, meno spaventati. É successo ma siamo sempre qui, solo un po’ acciaccati. Io da bambina andavo fiera delle mie cicatrici, mia figlia invece non ne ha. E un po’ mi dispiace. Chissà, forse domani le metterò davvero i calzoni corti.

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