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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Angolo dell'avvocato

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A cura di Lucrezia Baldini & Francesco Vignali

Violenza sui figli: tutele e responsabilità genitoriale

Maltrattamenti, abusi ed assenza di affettività nei confronti dei figli: cosa dice la legge?

I recenti casi di cronaca relativi a genitori che hanno ucciso o picchiato i propri figli, come il papà di Scarperia, ci permettono di fare il punto su cosa dice la legge in tema di diritti e doveri del genitore e, soprattutto, su quali sono le tutele per le vittime minorenni.

I punti di riferimento normativi sono molteplici.
In primo luogo, l’art. 30 della Costituzione afferma che “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.

In secondo luogo, l’art. 147 c.c.sancisce che “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni”.

Facendo un breve, ma interessante, riassunto giuridico, si evidenzia che il Codice Civile del 1942 utilizzava il termine “patria potestà”, riferendosi ad un rapporto di sottoposizione dei figli al padre.

Nel 1975 il concetto viene riformato, passando al termine di “potestà genitoriale”, inteso come un rapporto privatistico che coinvolge entrambi i genitori, conferendo loro una serie di diritti e doveri inerenti l’educazione ed il mantenimento dei figli.

Con l’ulteriore riforma del 2013, il legislatore ha sostituito il termine “potestà” con quello di “responsabilità genitoriale”, anche al fine di uniformarsi con le normative europee, quali in particolare la Carta di Nizza.

Concretamente cosa significa questo mutamento?

Ebbene, il primo punto di riferimento del legislatore è diventato l’attenzione ai diritti del minore, che è il centro della normativa. Ad entrambi i genitori sono riconosciuti una serie di diritti e di doveri relativi alla sua educazione, sviluppo e mantenimento, dando risalto all’interesse superiore dei minori a discapito di quello dei genitori.

Il primo risultato della riforma del 2013 è l’equiparazione tra tutti i figli, indipendentemente dal fatto che siano o meno nati all’interno del matrimonio. Infatti, l’art. 315 c.c. recita “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.

La responsabilità genitoriale attribuisce una serie di doveri ai genitori, consistenti nel diritto del figlio a:
1) essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni;
2) crescere in famiglia;
3) mantenere rapporti significativi con i parenti.

In pratica, entrambi i genitori sono tenuti ad adempiere a tali doveri, che possiamo riassumere con il concetto di “responsabilità genitoriale”, esercitando la medesima insieme, anche in caso di separazione o divorzio.
Ciò perché, anche queste ultime due ipotesi, che già gravano pesantemente sulla serenità e sull’equilibrio dei figli, non devono impedire ai minori di godere della vicinanza di entrambi i genitori.

Il nuovo approccio normativo ha portato anche la giurisprudenza a rivalutare una serie di elementi peculiari per lo sviluppo del minore nel caso della separazione o divorzio dei genitori, quali l’importanza di vedere il genitore con il quale non vivono e la necessità di mantenere un rapporto con i nonni, ulteriori figure alle quali è stata riconosciuta la giusta importanza per l’educazione e lo sviluppo psicologico del bambino.
Questi ultimi concetti sono, infatti, prima di tutto affermazioni di buon senso, ma c’è voluto molto tempo perché venissero cristallizzate anche a livello giuridico.

Ciò premesso, cosa accade se il genitore viene meno al rispetto di questi elementari obblighi? Cosa accade nei casi di cronaca di cui sopra, nei quali addirittura il genitore stesso, che per primo dovrebbe curare il figlio, attua comportamenti pregiudizievoli per il minore?

Salvo la responsabilità penale (sussistente laddove il genitore attui condotte che integrano reati, come nel caso di maltrattamenti, abusi, ecc…), il Tribunale per i Minorenni interviene per dichiarare la perdita della responsabilità genitoriale in tutti i casi in cui il genitore viene meno al suo dovere di prendersi cura dei figli e di tutelarne lo sviluppo. Più specificamente, ciò avviene quando il genitore maltratta i figli, ne abusa, ma anche in tutti i casi in cui, pur non recandogli un pregiudizio fisico, non contribuisce a sostenerne lo sviluppo psicologico ed affettivo (ad esempio, il genitore che pur pagando il mantenimento del figlio, è completamente assente sotto il profilo affettivo ed educativo).

L’art. 336 c.c. prevede che la decadenza dalla potestà genitoriale venga dichiarata dal Tribunale, su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero. Il Giudice ascolta anche il minore, se maggiore degli anni dodici o, se di età inferiore, qualora “capace di discernimento”.
Allo stesso modo, se sono cessate le ragioni, il Tribunale può dichiarare la reintegrazione nella responsabilità genitoriale del genitore decaduto.

In conclusione, il fine principale della normativa è la tutela del minore, in senso fisico e psicologico. Nel caso di genitori indegni del rispetto di tale immenso dono e responsabilità, la legge prevede il potere del Giudice di allontanare la persona che viola i diritti del figlio o, quantomeno, non è in grado di dargli la giusta affettività ed assistenza, soprattutto morale.
 

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