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Chef Rubio: "Il Mercato Centrale spero fallisca"

La risposta del fondatore Montano

Botta e risposta a distanza tra lo chef Rubio e il fondatore del Mercato Centrale (di Firenze, oggi presente anche a Torino e Roma e a breve a Milano), Umberto Montano. 

Rubio, all'anagrafe Gabriele Rubini, è diventato famoso per le trasmissioni televisive "Unti e bisunti" e "Camionisti in trattoria" in cui esalta la prelibatezza di ricette popolari e cibo da strada all'italiana.

Lo chef, romano doc, si è detto contrario al format gastronomico di Montano in un'intervista al dorso torinese del Corriere delle Sera. Alla domanda della giornalista: “All’epoca comprò le spezie tra le bancarelle di Porta Palazzo. Dove oggi c’è anche il Mercato Centrale. Cosa ne pensa?” ha risposto: “Spero che fallisca. Quel quartiere non ha bisogno di format sintetici. È stupendo per la sua multietnicità. Posti come il Mercato Centrale vengono fatti per persone che non hanno il coraggio di entrare nei mercati, quelli veri”.

Gambero Rosso ha pubblicato la risposta del diretto interessato, Umberto Montano, che ha detto: "Il personaggio e le sue parole sono palesemente artefatte per raccogliere ‘consensi mediatici’ e poter dare scopo a una ‘identità che altrimenti sarebbe costretta a confrontarsi sul terreno ben più difficile del gioco reale, con le sue regole d’ingaggio e i suoi valori: serietà, dignità, professionalità, misura, responsabilità”.

Nella replica Montano non le manda a dire: "Mi chiedo che spirito possa muovere un soggetto pubblico, che sventola spesso la bandiera della solidarietà, della cultura e dell’inclusione, a ‘sperare’ nel fallimento di un progetto onesto e trasparente, che accoglie un gran numero di lavoratori (oltre duecento) e che, in quanto tale, è proprio l’emblema della società più auspicabile”.

L'imprenditore conclude dicendo: “Vorrei vedere l’uomo di fronte alle responsabilità reali. Tanta spavalderia lascia supporre che non abbia mai avuto occasione di imbattersi nei troppi disoccupati che costituiscono la più grave ipoteca per la civiltà stessa del nostro Paese, non si è mai imbattuto in operai di fabbriche e aziende che, appunto, falliscono, e privano del lavoro famiglie che darebbero un pezzo di sé per averne uno sano e retribuito come quei 200 che il nostro ‘chef solidale’ spera vadano falliti”.

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