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Rossi su Bossi: "Dita unte perché si sono messe le mani nell’olio"

Per il presidente della Regione Toscana "si è chiuso un ciclo negativo" e su Bossi sottolinea: "Siamo a Pasqua e meriterebbe di provare più un sentimento di pietà e riflessione, senza infierire"

‘Cade’ Umberto Bossi, ed in certo senso cade la Lega. Testa e padre prima di un movimento, poi di un partito, il ‘senatur’, l’uomo della secessione, della Padania, è costretto a lasciare la mano. E tutto pare, come all’interno di un cerco magico diabolico, sia il frutto di quegli stessi vizi contro i quali la Lega si scagliò con violenza inaudita nei primi anni novanta, nel pieno di tangentopoli. Un tonfo, un terremoto, che non ha fatto tremare solo i palazzi del nord, ma un po’ tutta l’Italia. Così  come in Toscana. Questa mattina il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, interpellato dai giornalisti sulla crisi della Lega Nord, si è lasciato andare a più di una riflessione, a cominciare da una prima (ironica?) su Bossi: “Siamo a Pasqua e meriterebbe di provare più un sentimento di pietà e riflessione, senza infierire”.

“Mi sembra – ha poi continuato il governatore – che vi sia la fine di un ciclo della repubblica che è stato definito ma io non apprezzo questa definizione di ciclo della 'seconda repubblica'”. Tuttavia, ha aggiunto Rossi, “la chiusura di questo ciclo è la chiusura di un ciclo negativo per il Paese: non è stato fatto del bene al Paese con la Lega, e neppure con Bossi. Si è portato in Parlamento la fune del capestro dell’impiccagione, si è dato alla politica quanto più si poteva in termini di turpiloquio, di invettive, di divisione del Paese tra il nord e i 'terroni'. Il linguaggio della politica è degradato. Invece che unire, si è diviso in questi anni”. Per il governatore toscano, il “progetto di moralizzazione” della Lega “finisce con le peggiori forme del familismo all’italiana, con le dita unte perché si sono messe le mani nell’olio”.
 

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