Attorno a Renzi, di corto, va di moda la lettura semantico-interpretativa. Una vera e propria fenomenologia specifica sull’etichetta istituzionale. “Ha fatto un discorso a braccio”; “ha chiesto la fiducia con la mano (le mani) in tasca”; “Non parla al Parlamento ma agli italiani”. Tutto questo cancellando o dimenticando Renzi sindaco, solo sindaco, prima della segreteria del Pd; prima della premiership. Dov’era la stessa etichetta che oggi fa dibattere quando all’inaugurazione di un ‘fontanello’ dell’acqua pubblica, a Firenze, picconava il Partito democratico, il Governo, Monti o Berlusconi? “Vero, ma all’epoca non era presidente del Consiglio”, rispondono in tanti. Come dire, l’uomo si giudica in contiguità alla carica istituzionale che ricopre. Questioni di prassi consolidate. Risposta sincera, storica, con un piccolo particolare: Renzi è a Palazzo Chigi perché ha rotto con le stratificazioni della politica. E con quell’etichetta.

Un po’ come successo nel 1993-94, quando Berlusconi pronunciò il suo oramai leggendario (e comico), “scendo in campo”. Anche allora, il Cav parlò a reti unificate, le proprie, direttamente agli italiani. Non parlò in ‘politichese’, andò diritto al sodo e alla pancia dei telespettatori. L’emiciclo era l’ultimo dei suoi problemi. Poi, una volta al vertice, ha abituato gli italiani ai suoi ‘show’: i grafici, la lavagna di Tremonti, il contratto con gli italiani, le promesse proclamate guardando diritto in camera, i manifesti 6 per 3 con il jingle che buca (“Un presidente operario”, con tanto di caschetto in testa), le barzellette. Una terribile macchietta, scaltra e abile a dialogare con la sfera umorale degli italiani. Avanti così, fino al berlusconismo sfrenato: dalla cura alla malattia.

Ora, Renzi, dopo le giratine nelle scuole italiane, ha messo in piedi, a Palazzo Chigi, la conferenza stampa sui primi provvedimenti della suo Governo: mille euro in più all’anno per chi ne guadagna meno di mille e cinquecento (da maggio); a settembre l’estinzione dei debiti della Pubblica Amministrazione con le imprese; il taglio della luce, in bolletta, per le aziende; l’aumento della tassazione sulle rendite finanziare (esclusi i titoli di Stato) che passa al 26%; il piano casa; il piano scuola; le aste per le auto blu su e-Bay. Il tutto raccontato attraverso una serie di slide, e battute della serie, “venghino, signori venghino”, quando si è soffermate sulle aste per le auto di stato.

Così, ritornando all’attacco del pezzo, la discussione sulla semantica del gesto, quello di Renzi, ha aumentato di volume. Con tanto di soluzioni del rebus: “È un Berlusconi 2.0”; “Berlusconi è la Tv, Renzi è social”; “Il primo è il creatore, l’altro è il prodotto”. Un po’ come nella gazzarra di commenti che si sono addensati attorno a La grande bellezza di Sorrentino dopo aver trionfato agli Oscar.

Renzi come Berlusconi? Nardella: "Meno soldi, non ha problemi con la giustizia"

NARDELLA – Tanto che Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, fedelissimo del Cavaliere, si è spinto, sul Foglio, in un paragone ardito: “Matteo Renzi è un Berlusconi con 40 anni di meno”. Un virgolettato che, questa mattina, è arrivato alle orecchie del vicesindaco di Firenze, Dario Nardella, oggi, a Palazzo Vecchio, nelle vesti di supplente del premier; domani (a fine maggio) probabile sindaco del capoluogo toscano. “Renzi come Berlusconi? A me sembrano piuttosto diversi”, ha sottolineato subito. Poi ha spiegato: “Intanto mi pare che Silvio abbia molti, ma molti più soldi, e soprattutto qualche problema con la giustizia che Renzi non mi pare abbia”. Visto il clima e il piano riforme intavolato da Matteo a braccetto con Silvio, chissà se il premier sarà contento o irritato dall’attacco del suo delfino a Firenze?