"L’Avaro di Molière" al teatro Niccolini
Al Teatro Niccolini di Firenze, da giovedì 29 dicembre a giovedì 5 gennaio, Alessandro Benvenuti veste i panni ambiguamente divertiti e feroci de L’Avaro di Molière, adattato e diretto da Ugo Chiti. Uno spettacolo amaro e irresistibilmente comico, un’opera di bruciante modernità.
In scena con Benvenuti ci sono Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Giaffreda e Desirée Noferini per un Avaro che riesce a essere un classico immortale e nello stesso tempo a raccontare il presente.
Una produzione Arca Azzurra Teatro.
Dopo il successo del Malato Immaginario, votato dal pubblico dei teatri toscani come miglior spettacolo della stagione 2014-15, Arca Azzurra Teatro sceglie ancora una volta Molièr.
L’Avaro è uno spaccato familiare e sociale. Arpagone è un capofamiglia balordo, taccagno e tirannico come tanti altri, circondato da un amabile e canagliesco intrigo di servi e di innamorati, impersonato da Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Giaffreda e Desirée Noferini. Poi Arpagone viene derubato e l’avarizia cessa di essere un tic, una deformità, uno spunto di situazioni farsesche. La diagnosi investe la psicologia di chi ha subíto un furto, di chi è stato defraudato di un oggetto di passione esclusiva, della sua unica ragione di vita. Proprio la fissazione affettiva di Arpagone su un oggetto miserabile sollecita un’equivoca, ma profonda partecipazione emotiva: l’avarizia redime l’avaro.
Siamo di fronte a una delle commedie molieriane che presuppongono uno spaccato familiare, una ‘casa’, ma la ‘casa’ di Arpagone è anche un luogo rigorosamente finto, esplicitamente e spudoratamente teatrale. Una casa che potrebbe essere una metafora del teatro con i suoi prodigi, le sue inverosimiglianze e la sua cartapesta. Non una vera dimora borghese, dove la luce filtra dalle imposte socchiuse, meridiana o mattutina, ma comunque naturale, bensì un luogo dove tutto si svolge a lume di candela (non fosse altro che per l’avarizia), anche se è giorno. Tanto le scene quanto i costumi rifuggono quindi una scelta filologica, sono più usati come suggerimento di caratteri, allusioni cromatiche, indicazioni di ‘travestimenti’ interiori dei personaggi.
Il regista innesta le vicende dei grandi classici nel linguaggio, forte, crudo, e a volte comicissimo che gli è proprio, e che diventa tutt’uno con le sue regie, scavando al fondo delle psicologie dei personaggi anche grazie al suo peculiare lavoro con gli attori, da quelli che hanno con lui una storia ormai più che trentennale ai giovani che di volta in volta sceglie di inserire in un contesto di forte conoscenza e solidarietà tutta teatrale tipica dell’Arca Azzurra.