Presentazione del libro "Firenze io ti canto"
“Canto de Diavoli”, “Canto alla Briga”, Canto al Diamante”…vi siete mai chiesti il significato di quelle lapidi su parecchie cantonate delle strade centrali fiorentine? Il libro di Margreta Moss, illustrato da A°Mos The Dark , ripercorre la storia della città e delle sue storiche Famiglie, seguendo le “note” di questi Canti per ricostruire un mosaico sociale e culturale della Firenze del ‘400.
CANTO ALLA QUARCONIA
Via de Cerchi - Via del Canto alla Quaconia
Ammesso che qualcuno abbia alzato il naso alla cantonata di VIa de’ Cerchi che porta questa scritta, e’ probabile che sia rimasto con la curiosita’di dove sia uscito l’astruso nome di Quarconia. Forse una lontana terra esotica, una spezia rara, una principessa in esilio, una tassa immobiliare? Il vernacolo fiorentino si diverte a storpiare i nomi per rendere concetti e immagini piu’ coloriti, ma per arrivare a Quarconia ci vuole molta fantasia. E anche un po’ di latino, perche’ pare che tale parola derivi da QUARE QUONIAM. Ma che ci fanno due avverbi latini su uno spigolo delle antiche case de’ Cerchi? Fatto sta che una di queste divenne un luogo di “rieducazione” giovanile grazie allo zelante interessamento di Don Filippo Franci, con il patrocinio di S. Filippo Neri.
Pare infatti che il fenomeno della gioventu’ sbandata non sia solo frutto della corrotta societa’ moderna e che angustiasse autorita’ e parenti fin da tempi assai remoti. Per togliere i suddetti ragazzi “non integrati” dalla strada del vizio, si costitui’ dunque l’Ospizio della Quarconia, riconosciuta successivamente come istituzione ufficiale da Ferdinando II, con un documento che comincia appunto con Quare Quoniam. Ora, queste due parole erano la formula giuridica usata nei tribunali popolari per sintetizzare la causa di colpevolezza dell’imputato e la relativa sentenza di condanna. Se ne deduce pertanto che l’iniziale pia intenzione di Don Franci di dare un tetto e una speranza ai suoi assistiti fosse estrapolata in modo che questi si trovarono praticamente in riformatorio. E non ispirato al bonario motto di Filippo Neri “siate buoni, se potete” perché per le loro colpe di accattonaggio, furtarelli, vagabondaggio e disturbo della quiete pubblica, i giovani disadattati della Firenze antica (fra cui anche i rampolli “caratteriali” di famiglie-bene incapaci di tenerli a freno) si trovavano distribuiti poco per amore e parecchio per forza in otto piccole celle, dove poter meditare sulle loro mancanze. Non erano comunque solo esercizi spirituali quelli a cui venivano sottoposti gli” ospiti” di tale encomiabile istituzione: a quell’epoca erano in voga piu’ le terapie d’urto che quelle persuasive e generalmente si ricorreva a metodi di convincimento un po’ drastici. Se ne uscivano redenti o meno non si sa con esattezza; forse questo Canto si e’ preso piu’ accidenti che benedizioni, tuttavia l’ente che qui aveva sede era animato dallo scopo di togliere dalla strada potenziali delinquenti: un servizio di pubblica sicurezza che, pur nell’evoluta ottica moderna di tutti i tipi di attenuanti per i disadattati che sono in giro, oggi i fiorentini non disdegnerebbero rispolverare, specie quelli le cui case vengono imbrattate, le cui macchine vengono sfregiate, le cui cantonate sono orinatoi, le cui piazze sono bivacchi multietnici, le cui botteghe e le cui tasche sono prese di mira in modo disonesto. Certo otto celle non basterebbero, il latino non va di moda e il Canto in questione non esisterebbe nemmeno grazie alla filosofia del “politically correct” .
O tempora, o mores!