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La ricerca Irpet

“Non studio, non lavoro..”: sono 70mila i giovani Neet toscani

Fenomeno più diffuso tra donne e stranieri. Il 62% è inattivo, il 16% in cerca della prima occupazione

Un giovane toscano su sette non studia e non lavora, come cantavano i redivivi Cccp.  Sono 70mila i cosiddetti Neet (Not engaged in Education, Employment or Training), il 13,8% di ragazze e ragazzi compresi nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni. Numeri che fanno impressione quelli che emergono dalla ricerca Irpet, ma che fanno della Toscana una delle regioni “virtuose” o quasi. Sebbene infatti la percentuale sia superiore alla media europea (11,7%), è al settimo posto in Italia, con dati migliori rispetto anche ad alcune realtà del Nord, come Piemonte e Liguria e valori praticamente analoghi a Lombardia e Friuli Venezia Giulia. 

Dati per Regione

L’identikit che non c’è

Quello dei Neet è un fenomeno variegato, spiegano da Irpet. Non c’è un ‘inattivo’ tipo: nella categoria rientrano infatti neolaureati che stanno cercando un impiego in linea con le proprie aspettative, chi è uscito precocemente dagli studi e non ha le competenze necessarie per entrare nel mercato del lavoro. E poi c’è chi è Neet per scelta, ad esempio per dedicarsi alla famiglia, oppure chi vive di occupazioni saltuarie, difficile dire quanto volontariamente, e si colloca così nell’area grigia tra precarietà e disoccupazione.

Per quanto riguarda la fascia d’età, i dati sono peggiori per chi ha oltre 20 anni (16% sia tra 20-24 anni che tra 25-29), perché nella fascia 15-19 (9%) molti giovani rientrano ancora all’interno delle rete scolastica e formativa. E il titolo di studio, naturalmente, aiuta: la percentuale di Neet sale infatti al 17,6% per chi ha soltanto la licenza media e scende all’11% per i diplomati e al 7% per laureati. 

Ci sono poi altre questioni, a partire da quella di genere.  L’incidenza del fenomeno è maggiore tra le giovani donne (15% anziché 13), spesso inattive perché impegnate in attività di sostegno e di cura all’interno della rete familiare. E poi il dato che riguarda i giovani stranieri, dove la percentuale schizza addirittura al 25% (il doppio degli italiani) ed è questo il numero più preoccupante insieme a quello degli inattivi.

Dati per categoria sociodemografica

Sei su dieci non cercano un impiego

Il 62% dei Neet toscani non è alla ricerca attiva di un’occupazione e poco importa se la media italiana è ancora più alta, 67%.  Gli altri si dividono tra coloro che hanno precedenti esperienze di lavoro, ovvero i disoccupati (22% in Toscana) e coloro che invece sono alla ricerca di primo impiego (16%). “Nonostante questa seconda categoria di giovani possa destare meno preoccupazioni rispetto agli inattivi, non si deve dimenticare che oltre i due terzi stanno cercando un’occupazione da oltre un anno, dimostrando una certa distanza dal mercato del lavoro che può facilmente sfociare in demotivazione e scoraggiamento nella ricerca di occupazione”, sottolinea Silvia Donati, la ricercatrice che ha curato il rapporto. 

Dati per status-2

Come intervenire

Secondo Irpet, l’eterogeneità del fenomeno “chiama in causa una serie altrettanto varia di possibili politiche volte ad affrontarlo e a contenerlo”, a seconda delle persone a chi ci si rivolge. Un primo gruppo che riguarda le politiche di istruzione e di formazione iniziale, volte a limitare il fenomeno dell’abbandono scolastico e a favorire la transizione scuola-lavoro, un secondo le politiche per favorire l’inserimento o il reinserimento dei giovani in ricerca attiva di lavoro e, infine, politiche per i giovani più marginali”.

Alla base c’è però il sistema di istruzione, poiché esiste, spiega ancora Donati, una associazione diretta fra il fenomeno dei Neet e l’organizzazione del sistema formativo: “I Paesi caratterizzati da un sistema di formazione delle competenze di tipo duale, in cui sia la scuola che l’impresa rappresentano luoghi di apprendimento, sono quelli con valori più bassi di Neet. Il modello formativo italiano ha caratteristiche ben diverse da quelle tipiche di un sistema duale quale quello tedesco, e ciò rende la transizione scuola-lavoro una fase molto problematica nel percorso di un giovane, fattore che può essere annoverato tra le principali cause dell’ampiezza del fenomeno” nel nostro Paese. In Germania, infatti, la percentuale è “solo” del 9%, meno della metà rispetto al dato italiano. 

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