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Violenza sulle donne, pronto un tavolo in Regione. Barone: “Formazione obbligatoria e lavorare in rete”

La presidente degli Assistenti sociali Toscana: “La colpa è individuale, la responsabilità è diffusa”

I recenti episodi di stupro hanno acceso il dibattito in tutti i settori più o meno coinvolti nel contrasto e nella prevenzione della violenza. Il disagio avvertito dalla comunità, il disgusto e la condanna hanno portato professionisti a fare una riflessione più profonda sull’esigenza di un cambiamento culturale, non solo la produzione di norme più severe. “C’è spesso la sensazione che questo sia un fenomeno nuovo, che non sappiamo come affrontarlo, ma non è così – spiega la dottoressa Rosa Barone, presidente del Consiglio regionale della Toscana dell’Ordine degli Assistenti sociali –. Questo tipo di messaggio ostacola il nostro lavoro perché ogni giorno siamo nelle reti antiviolenza a costruire fiducia nelle vittime, a dire loro che si può uscire dalla violenza, nonostante sia una strada lunga e difficile, ci si può liberare dalle relazioni maltrattanti. Dopo questi episodi tutti si indignano giustamente, ma poi rimaniamo fermi dove siamo, impotenti davanti a questo fenomeno. Invece abbiamo gli strumenti, ma dobbiamo fare di più. È un problema culturale, quindi occorre un cambiamento importante. È necessario che il sistema pubblico si prenda la responsabilità del cambiamento, tenendo insieme tutte le strategie che già sono presenti nel piano antiviolenza, nella convenzione di Istanbul, che è legge di Stato. Di fronte a questi episodi, dobbiamo tener presente che la colpa è sempre individuale, ma la responsabilità è diffusa”.

La rete e l’esigenza di fare sistema contro un fenomeno così deplorevole deve coinvolgere tutti e richiede uno sforzo enorme per parlare la stessa lingua, entrare in sinergia per non rallentare il lavoro di alcuni. “La premessa e la strategia di tutto è la formazione – prosegue Barone –. Ognuno di noi si porta dietro gli stereotipi che sono dentro la nostra dimensione culturale. Se non adeguatamente formati, tutti possiamo fare errori non riconoscendo la violenza e prendendo decisioni sbagliate. L’errore più grosso che possiamo commettere nel caso di una violenza è considerarla come un conflitto e gestirla alla stessa stregua. Serve una chiave di lettura professionale che ci porta a vedere cosa sta succedendo nella relazione e gestirla con strumenti, metodologie, forme di supporto specifiche. Altrimenti possono essere derubricate come situazioni di conflitto perché non riusciamo a vederne la violenza a causa di questo meccanismo culturale, stereotipato. La formazione è necessaria e deve essere obbligatoria”.

Il richiamo al cambiamento sociale e alla presa in carico delle istituzioni ha portato la presidente del Consiglio regionale della Toscana dell’Ordine degli Assistenti sociali a chiedere e ottenere un tavolo con gli assessori regionali competenti per affrontare il fenomeno in maniera complessa e sotto ogni aspetto. “La rete per funzionare deve avere rapporti costanti. Ecco perché abbiamo proposto ai tre assessori alle Pari opportunità, alla Sanità e ai Servizi sociali di fare una formazione con la collaborazione dei centri antiviolenza. Partiamo da lì perché spesso ci fanno vedere come alcune pratiche professionali non siano corrette e portano a tantissimi ricorsi all’autorità giudiziaria. Ecco che dobbiamo insistere sulla formazione. Ogni ordine deve garantirla perché ciascuno abbia le competenze di base e soprattutto chi lavora con le vittime abbia strumenti per non commettere errori”.

La prevenzione resta un cardine chiave della lotta alla violenza di genere e mette in campo tutte le forze necessarie per fare squadra e accorgersi immediatamente dei problemi. “In Toscana abbiamo un impianto di servizi socio-sanitari ben strutturato – spiega Rosa Barone –. Il Codice Rosa garantisce che i servizi possano intercettare le richieste di aiuto e fare tutto ciò che serve a sostegno della vittima. Nella nostra regione abbiamo tutte le precondizioni per fare questo passo in avanti nella logica degli interventi di sistema. Negli anni abbiamo costruito delle infrastrutture efficaci, come le reti antiviolenza. Tutti gli operatori sociali del territorio collaborano con i centri spendendo risorse, impegno. Dobbiamo implementare questa rete. Quando si hanno queste infrastrutture, i ragazzi sanno a chi rivolgersi e così anche le famiglie hanno un punto di riferimento. Famiglie sempre più spesso messe sulla sedia degli imputati troppo velocemente, anche loro vanno sostenute ad affrontare problemi sempre più complessi. Bisogna pensare alla complessità del fenomeno. Ecco perché c’è un modello culturale da smontare e la responsabilità deve essere percepita come diffusa. È necessario che anche gli uomini scendano in campo perché questo non è solo un tema delle donne, ma di come si sta nella nostra società, di come si vivono le relazioni affettive. Occorre una narrazione diversa, in cui si possa dire che dei ragazzi aiutano ragazze in difficoltà, non serve solo prendere le distanze. Così come non dobbiamo sottovalutare il ruolo degli autori della violenza. Certi interrompono una relazione per cominciarne un’altra maltrattante. Bisogna lavorare al recupero di queste persone. Non tutti sono recuperabili, ma una parte può cambiare, soprattutto se agiamo tempestivamente. È un investimento nella società se riusciamo a lavorare anche con loro”.
 

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