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Cronaca

Trattativa Stato-Mafia: condannati Dell'Utri, Mori, Subranni

Anche l'ex senatore di Forza Italia condannato a 12 anni. La sentenza mette un punto fermo sugli anni delle stragi mafiose del '92-'94, tra le quali quella dei Georgofili

La trattativa Stato Mafia non solo c'è stata ma ora dopo 5 anni di processo ha anche nomi e cognomi dei protagonisti: ad intavolare una sorta di mediazione tra gli uomini delle istituzioni ed esponenti della malavita mafiosa di Cosa Nostra sarebbero stati alti esponenti in rappresentanza del Governo e della cosca mafiosa dei Corleonesi.

Così ha stabilito la sentenza, di primo grado, del processo Stato Mafia pronunciata oggi dalla corte d'assise di Palermo, che mette un primo punto fermo sulla terribile stagione del 1992-1993, insanguinata dalle stragi di Falcone e Borsellino e delle loro scorte e poi dagli attentati di Roma, Milano e Firenze, in quest'ultimo caso con la bomba in via dei Georgofili del 27 maggio 1993, che costò la vita a cinque persone.

La sentenza conferma la tesi principale dell'accusa, cioè il ricatto della mafia allo Stato, a cui si sarebbero piegati alcuni elementi delle istituzioni e che ha visto riconoscere benefici alla mafia.

Trattativa Stato Mafia: la sentenza

Dopo quasi 5 giorni di Camera di consiglio è arrivato il verdetto della Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto per la sentenza nel processo sulla cosidetta "Trattativa Stato Mafia". Erano nove in tutto, dieci con il boss Totò Riina morto lo scorso novembre, gli imputati del processo.

Condanne a 12 anni per gli ex vertici del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, Mario Mori e Antonio Subranni. Condanna a 12 anni anche per Marcello Dell'Utri, ex senatore di Forza Italia, in passato vicinissimo a Silvio Berlusconi (Dell'Utri fu cofondatore di Forza Italia) e già condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Stessa condanna anche per il mafioso Antonino Cinà. Condanna ad 8 anni per l'ex colonnello Giuseppe De Donno.

Il testimone chiave del processo, Massimo Ciancimino è stato condannato ad 8 anni per l'accusa di calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni Di Gennaro, e assolto invece dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Condannato a 28 anni il boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. Prescrizione per il pentito Giovanni Brusca. Assolto invece l'ex ministro Nicola Mancino: era accusato di falsa testimonianza e la procura aveva chiesto per lui una condanna a 6 anni.

"Questo processo è dedicato a Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e a tutte le vittime della mafia", ha detto Vittorio Teresi, il pm più anziano del 'pool' che ha istruito il processo, assieme ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.

"Ora abbiamo la certezza che la trattativa ci fu. La corte ha avuto la certezza e la consapevolezza che mentre in Italia esplodevano le bombe nel '92 e nel '93 qualche esponente dello Stato trattava con Cosa nostra e trasmetteva la minaccia di Cosa nostra ai governi in carica", le parole del pm Di Matteo.

Dopo la lettura della sentenza fuori dal Tribunale ci sono stati manifestazioni di sostegno e ringraziamento nei confronti dei pm: “Siamo tutti Di Matteo, Palermo è nostra e non di Cosa Nostra”, uno dei cori con i quali è stato accolto tra due ali di folla Nino Di Matteo.

Che cos'è la Trattativa Stato Mafia

Nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo si è chiuso oggi il primo capitolo di uno dei processi più controversi degli ultimi anni. Le indagini dei pm hanno attraversato oltre quattro decenni di storia italiana, in un percorso che in cui il biennio stragista del 1992-94 ha rappresentato uno spartiacque.

Il processo per la Trattativa Stato Mafia era iniziato il 27 maggio 2013 e in questi 5 anni sono state celebrate oltre 200 udienze ed ascoltati centinaia di testimoni.

Secondo l'accusa, confermata in parte oggi in primo grado, gli imputati avrebbero dato vita ad una trattativa tra Cosa Nostra e parti delle istituzioni atta a porre fine agli attentati e le stragi del biennio 1992-94, e cedere alle richieste da parte della mafia con l'ammorbidimento del carcere duro per i mafiosi.

Nel 1992, secondo l'accusa "i carabinieri del Ros avrebbero avviato una prima trattativa con l'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, che avrebbe consegnato loro un ‘papello’ con le richieste di Totò Riina per fermare le stragi". Fatti negati dagli imputati. Un mese dopo la morte di Falcone, l'allora capitano De Donno avrebbe chiesto una "copertura politica" per l'operazione Ciancimino.

Dopo l'arresto di Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993, i boss avrebbero avviato una seconda Trattativa e i referenti sarebbero stati Bernardo Provenzano e Marcello Dell'Utri. Mentre le bombe mafiose esplodevano fra Roma, Milano e Firenze, un altro ricatto di Cosa nostra per provare a ottenere benefici.

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