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Cronaca Novoli / Piazza Dalmazia

Strage dei senegalesi: piazza Dalmazia piena in nome di Modou e Mor

Ad un anno esatto dalla strage dei mercati la piazza si è trasformata in un luogo di pace. Bandiere senegalesi, piante di ulivo, ed un comandamento: "Mai più 13 dicembre"

Un anno dopo la strage i nomi di Modou Samb e Mor Diop echeggiano ancora in piazza Dalmazia. Dodici mesi fa, i loro corpi erano riversi a terra senza vita. Freddi e sanguinanti, coperti da quei lenzuoli blu da cui si scorgevano giusto le mani. Mani senza vita, quella gli era stata tolta dalla furia assassina di Gianluca Casseri. Sparò più volte la sua 357 magnum, sparò per via di quella pelle nera. Quel nero che stona con un'ideologia barbara, antica e sempre nuova, che si fa seguace di un assurdo tremendo. Un orrore che i Primo Levi racchiuse perfettamente in un verso di Se questo è un uomo: 'che muore per un sì o per un no'. Due morti, una ferita, uno squarcio che paralizzò Firenze. Furono ore e giorni complicati: il lutto cittadino, la serrata dei commercianti, la follia sul web, i 30mila di quel corteo silenzioso, le lacrime del popolo senegalese. La rabbia, tanta, e la lezione. La lezione di chi non volle farsi strumentalizzare il dolore, di chi scelse la rivolta e non la ribellione, quel no che è anche un sì.

Ed oggi Modou e Mor erano qui in mezzo alla loro gente. Quella comunità senegalese che si è raccolta proprio in piazza Dalmazia per ricordarli e per non abbassare la guardia contro ogni tipo di razzismo. Tanti senegalesi mischiati a tanti fiorentini. Decine le associazioni che hanno aderito all’appello della comunità senegalese fiorentina: “Mai più 13 dicembre”. “C’è tanta gente in questa piazza - ha detto Pape Diaw, il presidente della comunità senegalese fiorentina - e questo è positivo perché significa che il nostro dolore per la morte di Mor e Samb è diventato il dolore di tutta la città. A nome delle famiglie della strage razzista del 13 dicembre noi siamo qui per dire a Firenze, grazie ti abbracciamo”. Nessuna polemica, tantomeno politica, come ha ricordato sempre Diaw dal palco: “Noi siamo qui per ricordare e per conservare la memoria di ciò che è successo, diciamo no ad ogni altra interpretazione di questa manifestazione”.

E mentre si susseguivano gli interventi dal piccolo palco posto al centro della piazza, dall’altra parte, ai piedi del cippo che sostiene la targa commemorativa della strage, la processione dei fiori. Tanti gli ulivi, il simbolo della pace. E in questa giornata non poteva mancare il ricordo di Moustapha Dieng, il ragazzone di un metro e novanta costretto da Casseri ad una vita spezzata. Disteso e fermo all’unità spinale di Careggi aspetta di riabbracciare la vita. Per lui è gia pronta una seggiola a rotelle elettrica acquistata dall’associazione ‘Spingi la vita onlus’. “Ho conosciuto Moustapha – ha detto il presidente dell’onlus, Gianni Pacini – dietro il vetro dell’unità di Careggi. All’epoca gli mancava tutto, dallo spazzolino alle mutande. A questo abbiamo già provveduto. A gennaio arriverà anche la carrozzina elettrica”.

Il ricordo della strage in piazza Dalmazia

RENZI – “Credo che a stretto giro arriveranno buone notizie dagli alti vertici dello Stato”, ha detto questa mattina il sindaco Matteo Renzi, in merito alla possibilità che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano possa concedere la cittadinanza italiana proprio a Dieng ma anche a Sogou Mor, Cheikh Mbengue, gli altri due senegalesi che durante quella giornata terribile rimasero feriti. “Firenze – ha continuato Renzi – non è una città razzista, ne sono certo; Firenze, un anno fa, si è svegliata vittima del razzismo. Così come si svegliò vittima della mafia quando un Fiorino distrusse l'accademia dei Georgofili e una parte degli Uffizi. In entrambi i casi siamo stati vittime di qualcosa di esterno a noi”.

ROSSI – “Li abbiamo trattati come lavoratori italiani”, ha detto in giornata il presidente della Regione, Enrico Rossi. “Il contributo di 20mila euro che abbiamo dato a ciascuna delle famiglie di Modou Samb e Mor Diop e a Moustapha Dieng, che purtroppo è ancora in cura presso un ospedale fiorentino – prosegue Rossi – è lo stesso che concediamo ai familiari dei toscani vittime del lavoro. Quanto abbiamo fatto è semplicemente doveroso e dovuto, ma fa anche parte di quello spirito solidale, umano e civile che è nella mente e nei cuori dei toscani”.

L'Imam di Firenze Izzedin Elzir

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