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Cronaca Scandicci

Scandicci, disoccupato da due anni: “Vendo un rene, ma non toglietemi i figli”

Rosario, moglie e due bambini, ha perso il lavoro due anni fa. Ora è magazziniere allo Scandicci Calcio. A maggio sarà sfrattato, e i servizi sociali potrebbero togliergli i figli

“Piuttosto vendo un rene, ma non toglietemi i figli”. Lascia senza parole l’annuncio di Rosario Giangrasso, 49enne di origini siciliane, a Scandicci da 30 anni. “Levatemi tutto, il lavoro, la dignità, ma non la famiglia”, si legge più avanti. L’uomo è rimasto senza lavoro due anni fa. “Per un po’ sono andato avanti grazie a piccoli lavori domestici, commissionati da amici e conoscenti - racconta -. Poi non sono più riuscito a pagar l’affitto”. Rosario vive con moglie e due figli, una bambina di 11 anni e un bambino di 9. L’affitto pesa 640 euro al mese, e le bollette sono sempre più salate. “Finché lavoravo non ho mai ritardato un pagamento. Dopo ho dovuto scegliere: o l’affitto o dar da mangiare ai ragazzi”.

 

Poco più di un anno fa, era il marzo 2012, l’uomo, esasperato, si arrampicò sulla gru del centro Rogers di Scandicci, a 50 metri d’altezza. Il caso rimbalzò sulle cronache locali, e il presidente dello Scandicci Calcio, Fabio Rorandelli, gli offrì un impiego da custode e magazziniere. “Devo ringraziarlo, ma anche con i 650 euro al mese che prendo ora non ce la facciamo”. Rosario sta al campo da gioco da mattina a sera, 11 ore al giorno. Unico giorno libero una domenica al mese. A volte, se non ci sono partite, porta i figli con sé. Anche oggi scorrazzano sul prato, con pallone e monopattino. Sembrano non sentire il peso della situazione.

Scandicci, il disoccupato che vuole vendere un rene © Emiliano Benedetti



“Tre giorni fa mi sono arrivati a casa la forza pubblica e l’ufficiale giudiziario per lo sfratto esecutivo. Ho avuto un’ultima proroga di un mese, ma il prossimo due maggio ci butteranno fuori”. Pesa la minaccia della separazione da moglie e figli. “Se non avrò un alloggio ritenuto idoneo mi toglieranno l’affidamento”. La moglie non lavora, e aiuta come può, con saltuari lavori domestici. I bambini vanno regolarmente a scuola, in prima media e terza elementare. “Gioco a calcio, ma mi sono rotto il braccio”, irrompe il più piccolo, mostrando una cicatrice. Per scongiurare la separazione Rosario è arrivato ad appendere all’ospedale di Torregalli l’annuncio shock: “Vendo rene al miglior offerente”. Per andare avanti ancora un po’: “Meglio privarmi di un rene che restare senza i bambini”. Il Comune di Scandicci un alloggio l’ha offerto, uno sgabuzzino all’interno del campo da gioco, accanto allo spogliatoio degli atleti: una piccola stanza, ora usata come deposito. “Ecco quello che mi hanno proposto il vice-sindaco di Scandicci Baglioni e gli assessori alla casa e al welfare Mancini e Fallani - dice l’uomo invitandoci a entrare -. Hanno promesso al proprietario di casa di avermi trovato una sistemazione, così da convincerlo a concedermi una proroga di un mese. Ecco qua: 10 metri quadri”. Ripidissimi scalini portano al soppalco, ancora più stretto.

“Ci dicono di vivere qui – spiega Rosario -. Io e mia moglie sotto e i bambini sopra”. Non c’è traccia, né ci sarebbe spazio, di bagno e cucina. “Dovremmo usare i bagni degli spogliatoi degli atleti o quelli destinati all’arbitro”, dice Rosario. Ci sono anche i bagni per il pubblico, all’ingresso, a circa 50 metri dall’“alloggio”, se così si può chiamare. “E se un bambino ne ha bisogno di notte? E col freddo d’inverno? E se piove?”. Domande senza risposta. La ‘cucina’, invece, è individuata nei quattro fornelli accanto alle lavatrici dove Rosario lava le divise dei calciatori. “Di venire qua non se ne parla”, assicura l’uomo. Non solo per le scomodità.

“La mia paura – rivela Rosario -, è che se ci trasferiamo qui finisce che ci tolgono i bambini”. Dopo il trasferimento della famiglia nello sgabuzzino dello Scandicci Calcio, infatti, il locale potrebbe essere dichiarato inidoneo. A questo punto scatterebbe l’affidamento ai servizi sociali. “Che per occuparsi dei miei figli riceverebbero 500 euro di contributi al mese, 250 per ognuno. Li diano a me e aiutino una famiglia a restare unita”.

Rosario racconta di avere iniziato a lavorare in fonderia all’età di 15 anni. L’infanzia l’ha passata in Germania, dove la famiglia si trasferì a cercar fortuna. Poi il rientro in Italia, negli anni Settanta, e lavori di ogni sorta, soprattutto come muratore. “Negli ultimi anni mi era messo in proprio, così non ho diritto ad alcun ammortizzatore sociale”. Dopo una vita di lavoro non ha in mano niente. Chiede un lavoro o una casa popolare. “Perché sono disposto a tutto, i bambini non me li farò portare via”.
 

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