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Cronaca

Riina assolto dall'accusa di essere il mandante della strage del Rapido 904

Il boss mafioso, detenuto nel carcere di Parma, era l'unico imputato nel processo in corso a Firenze

Il Tribunale di Firenze ha assolto Toto Riina dall'accusa di essere il mandante della strage del Rapido 904 che il 23 marzo 1984 causò la morte di sedici persone e il ferimento di altre 267, sul treno Napoli-Milano dopo l'esplosione di un ordigno. La sentenza è stata letta dal presidente della corte d'assise di Firenze Ettore Nicotra. "Manca la prova piena che sia colpevole, è la vecchia insufficienza di prove", ha spiegato il difensore di Riina, Luca Cianferoni.

Il boss mafioso, detenuto nel carcere di Parma, era l'unico imputato nel processo di Firenze. Il pm aveva chiesto l'ergastolo sostenendo che Riina è il "principale artefice di questo fatto, lo ha determinato, non c'è il minimo dubbio". Riina aveva deciso di non assistere al processo e ha seguito la lettura della sentenza in collegamento video.

I pm della Dda di Napoli avevano riaperto l’indagine sulla base di nuove dichiarazioni di pentiti di mafia e di camorra, tra cui Giovanni Brusca. Secondo la procura campana – che aveva chiesto e ottenuto una nuova ordinanza di custodia cautelare per Riina eseguita il 27 aprile 2011 – la strage del Rapido 904 rientrava nella strategia stragista perseguita dai Corleonesi e rappresentò la prima “risposta” ai mandati di cattura relativi al maxi processo emessi nel settembre 1984 da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

L’inchiesta è stata poi trasferita a Firenze: titolari sono il procuratore Giuseppe Quattrocchi e il magistrato della Dda Angela Pietroiusti. La procura di Firenze fu la prima a indagare sulla strage, che avvenne nella Grande Galleria dell'Appennino, fra il capoluogo toscano e Bologna.

Nel 1992 divennero definitive le condanne, fra gli altri, per il cassiere della mafia Pippo Calò, per il suo braccio destro Guido Cercola e per Friedrich Schaudinn, accusato di aver messo a punto il radiocomando della bomba. Secondo quanto emerso nell’inchiesta napoletana, l’esplosivo aveva una combinazione simile a quello poi utilizzato all’Addaura e in via D'Amelio.
 

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