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Cronaca

Processo Meredith: dopo l'intervista il giudice Nencini rischia il trasferimento

Il presidente della Corte d'Appello, che ha presieduto il processo, ha sollevato dubbi sulla linea difensiva di Sollecito: "Ha scelto di non essere interrogato, di non sottoporsi al contraddittorio". Poi le precisazioni: "Non ho espresso giudizi"

“Così è deciso, l’udienza è tolta”. Ventotto anni e sei mesi per  Amanda Knox, venticinque per Raffaele Sollecito. Si è chiuso così a Firenze l’appello bis per l’omicidio di Meredith Kercher. Almeno in aula, perché sui giornali la questione è andata avanti. Un po’ perché sollecito ha fatto una girata in Austria poco prima che gli fosse ritirato il passaporto. Un po’ per le dichiarazioni di Amanda – e della stampa USA – dall’altra parte dell’oceano. E un po’, per le dichiarazioni rilasciate appena 24 ore dopo la sentenza da Alessandro Nencini, presidente della Corte d'assise d'appello del processo Meredith.

Dichiarazioni, del giudice, che hanno fatto rumore. Tanto che in giornata il suo caso approderà al Comitato di presidenza del Csm (Consiglio superiore della Magistratura), che formalizzerà la richiesta di una pratica a suo carico in Prima Commissione. Non solo, Nencini, per violazione del codice etico delle toghe, potrebbe finire a “processo” davanti al collegio dei probiviri dell’Associazione nazionale magistrati.
Il fatto è che le sue parole, a caldo, a sentenza appena pronunciata, hanno alzato un gran polverone. Con le proteste dei componenti laici del Csm – Nicolò Zanon, di Forza Italia, è stato quello che ha annunciato l’iniziativa che se portata fino in fondo, potrebbe portare al trasferimento d’ufficio per incompatibilità con la sede fiorentina – e con la parte chiamata in causa: Raffaele Sollecito, appunto.

Sì, perché, è stato soprattutto un passaggio dell’intervista del giudice, compara in diversi quotidiani, ad innescare la polemica, quella riservata all’imputato. Quel Raffaele Sollecito che “ha deciso di non farsi mai interrogare nel processo”. E ancora: non farsi interrogare “è un diritto dell'imputato, ma certamente priva il processo di una voce”. Sollecito “si è limitato a dichiarazioni spontanee, ha detto soltanto quello che voleva senza sottoporsi al contradditorio”. Una dichiarazione a 360 gradi che si è soffermata anche sul presunto movente del caso: “Posso dire che fino alle 20,15 di quella sera i ragazzi avevano programmi diversi, poi gli impegni sono saltati e si è creata l'occasione. Se Amanda fosse andata al lavoro probabilmente non saremmo qui”.

Parole che, una volta pubblicate, hanno fatto scattare la presa di posizione dei legali di Sollecito, gli avvocati Giulia Bongiorno e Luca Maori. E’ gravissimo, anzi inaccettabile, che il presidente Nencini abbia commentato pubblicamente quanto accaduto nel segreto della camera di consiglio e si sia spinto a criticare la strategia difensiva. Ci chiediamo innanzitutto se parla a nome di tutti i giurati e se la frase sul mancato interrogatorio di Raffaele Sollecito significa che, se avesse accusato Amanda Knox, sarebbe stato assolto. In ogni caso, ricordiamo a tutti che ai magistrati compete il potere di giudicare, non quello di intromettersi nelle scelte della difesa e di commentarle pubblicamente. Nei prossimi giorni valuteremo le iniziative da intraprendere”.

NENCINI - In mattinata, sul sito di Repubblica ed. Firenze, sono comparse le dichiarazioni del giudice finito nell’occhio del ciclone:

"Non ho inteso anticipare in alcun modo le motivazioni della sentenza". "Non ho espresso alcun giudizio sulla strategia processuale delle difese degli imputati", ha ribadito Nencini che spiega che l'unico rifermento è quando parla di difese "ad altissimo livello". "Se le mie parole hanno generato fraintendimenti" sulla "assoluta legittimità della scelta di un imputato di rendere spontanee dichiarazioni, me ne rammarico".

Il presidente, nella lettera, ha spiegato anche il motivo delle sue dichiarazioni: "Ho incontrato casualmente alcuni giornalisti nei corridoi del palazzo di Giustizia che mi hanno riferito di voci e illazioni che circolavano sulla durata della camera di consiglio. Ho quindi avuto con loro un breve colloquio destinato, nelle mie intenzioni, a chiarire possibili equivoci". "Di questo mi assumo la responsabilità, precisando che "non vi è stata alcun intervista organizzata o preordinata".

"Queste precisazioni - ha concluso Nencini - erano doverose per il rispetto che devo alle persone che con me hanno partecipato al processo e all'Ordine cui mi onoro di appartenere; oltre che per coerenza con la mia storia professionale, fatta di oltre trenta anni di lavoro svolto senza riflettori e senza interviste".

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