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Cronaca

Processo di Castello: "Biagi temeva la città dormitorio", chiesta l'assoluzione

Il legale dell' ex assessore all'urbanistica ha spiegato come Gianni Biagi temeva una città dormitorio. L'avvocato: "Non voleva che sorgesse una 'banlieue' a Firenze"

Ieri l’avvocato di Gianni Biagi, Piermatteo Lucibello, ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito nel processo  che vede imputato per corruzione l’ex assessore all’urbanistica del Comune di Firenze nel processo sull’area di Castello insieme con Salvatore Ligresti, l'ex assessore Graziano Cioni, oltre a dirigenti della compagnia e l'architetto Marco Casamonti.
La tesi sostenuta dal legale è che Biagi: “Temeva la città-dormitorio. Non voleva che sorgesse una 'banlieue' a Firenze. Si pose in modo dialettico con Fondiaria-Sai rispetto alla trasformazione dei 168 ettari di Castello e voleva che il privato facesse un progetto di qualità. Gianni Biagi agì in nome dell'interesse pubblico e non praticò corruzione".

CASTELLO - L'area agricola di Castello, alla periferia nord della città, doveva diventare oggetto di una trasformazione edilizia del valore complessivo di circa 1 miliardo di euro. Per il Comune fu l'assessore Biagi a trattare con Fondiaria-Sai, proprietaria dei terreni. La "preoccupazione di Biagi era il modo di costruire di Ligresti, il pericolo di un quartiere-dormitorio - ha affermato Lucibello - Biagi non cercò il potere, né esercitò corruzione sia perché non è un libero professionista, poiché ha sempre lavorato nei Comuni e in Regione, sia perché non ha interessi clientelari. Biagi non è un politico ma un tecnico scelto da Domenici per l'assessorato all'urbanistica".

DIFESA - Secondo l'avvocato Pier Matteo Lucibello quando il Comune indicò a Fondiaria-Sai professionisti come l'architetto Vittorio Savi - indagato e poi, malato, deceduto nel corso dell'inchiesta - e l'architetto Casamonti, "lo fa nell'interesse di Firenze". "Savi - ha detto Lucibello - da critico dell'architettura aveva il compito di dare una solida impostazione culturale al progetto. La sua era una regia culturale che doveva assicurare qualità". "Savi si è sempre occupato di Castello" e "il suo incarico non fu un favore ottenuto da Biagi".

Anzi, quando tra Comune e Fondiaria emerse "la diversità di vedute sul progetto, valore 1 miliardo di euro", viene indicato "l'architetto Casamonti come progettista". "Ma - ha proseguito il difensore - non c'é segreto, né favoritismi. Il sindaco Domenici condivise con Biagi l'indicazione informandosi di Casamonti su Internet"; "anche la commissione edilizia comunale affermò che Casamonti era il migliore per quel progetto, eppure non ci sono né testimoni né indagati fra i suoi membri". L'avvocato Lucibello ha difeso Biagi anche evidenziando che in appunti sequestrati a Fausto Rapisarda, dirigente di Fondiaria Sai, il Ros dei carabinieri trova scritto che "Savi è il tutore messoci dal Comune" e che "non possiamo dargli il pallino del progetto". "Per Fondiaria-Sai l'interlocutore è il Comune, non Biagi, che si muoveva per conto dell'amministrazione e non in collusione col privato", ha chiosato il difensore. Così "l'incarico di Fondiaria-Sai a Casamonti, comportò una revisione radicale del progetto di Castello", non accondiscendenza rispetto agli obiettivi del privato di costruire il più possibile "massificando i profitti". Inoltre, "quando Casamonti faticava a riscuotere alcune parcelle da Fondiaria Sai, Biagi non intercedette per lui".

Per Lucibello, dunque, "non ci sono prove contro Biagi" e assolutamente irrilevante sembra "la vicinanza politica tra gli imputati che il Ros richiama allegando agli atti un appello di intellettuali per il Pd nel 2007 dove, tra 60 nomi, compaiono quelli di Savi e Casamonti, e perfino il mio: ma che può significare in una regione come la Toscana dove quasi un cittadino su due vota per il Pd e dove è difficile che un architetto non sia di centrosinistra?"

 

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