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Cronaca

Caporalato nei campi: profughi sfruttati tra le colline del Chianti 

L'inchiesta della Procura di Prato ha fatto emergere lo sfruttamento dei migranti da parte di un'organizzazione criminale

Reclutavano immigrati per portarli a lavorare tra i filari di cinque aziende del Chianti fiorentino. Una fatica di almeno 12 ore al giorno che vedeva profughi pakistani e sub sahariani diventare braccianti per quattro euro l'ora. Facendoli lavorare in ciabatte anche in pieno inverno, talvolta arrivando a punizioni corporali.

Ad organizzare le navette, partivano da Prato per poi arrivare a Firenze, era un'organizzazione criminale composta da nove pachistani. Dodici in tutto gli avvisi di garanzia notificati. L'operazione, coordinata dalla Procura di Prato, ha portato ad una trentina di perquisizioni tra le province di Prato e Firenze. A capo dell'organizzazione una coppia, marito e moglie, che avevano assunto, attraverso due ditte, circa 170 persone. Era la coppia che reclutava i profughi a Prato e poi li portava a lavorare nel Chianti. Nessuno dei titolari delle aziende del Chianti è indagato.

IL CAPORALATO TRA PRATO E FIRENZE // VIDEO // 

"L’inchiesta della Procura di Prato - ha commentato il segretario generale della Cisl Roberto Pistonina -, conferma che il caporalato in Italia è un fenomeno esplosivo, che propagandosi riduce i diritti di chi lavora a vantaggio dei più disonesti e spregiudicati che sono i nuovi schiavisti".

Sull'inchiesta è intervenuta anche Dalida Angelini segretaria generale della Cgil Toscana: "La Cgil da tempo denuncia con forza il fenomeno, lo ha fatto anche nell'ottobre scorso in un convegno a Grosseto: in quella occasione emerse che oltre 3.000 erano i lavoratori schiavizzati, più della metà impiegati nella raccolta dell'uva in maremma, il resto dal grossetano partivano ogni mattina per altre province. Denunciammo allora quanto pare confermato dalla indagine della procura di Prato e cioè che la vita di questi lavoratori è al limite della sopravvivenza. Lavorano, quasi sempre in nero, per 40 euro al giorno, anche per più di dieci ore di lavoro. A questi soldi poi devono essere tolti 5 euro per il trasporto con il pulmino sul luogo di lavoro, 1 euro e 50 per la bottiglia d’acqua, 3,5 per il panino e circa 200 euro al mese per l’alloggio, spesso fatiscente. Sì perché i lavoratori sotto caporale non possono portarsi neanche il cibo o l’acqua al lavoro, ma devono acquistarlo da chi li ha ingaggiati".

"Il caporalato - ha chiosato il presidente della Toscana Enrico Rossi - è un problema che va affrontato richiamando anche alle loro responsabilità gli imprenditori agricoli che se ne servono".  Rossi lancia anche una proposta, che poi già aveva illustrato in una recente audizione in Parlamento. "La proposta di legge Martina è sicuramente un passo in avanti: inasprisce le pene per i 'caporali' e prevede la confisca dei loro beni – dice – , ma per combattere seriamente il caporalato penso che si debbano chiamare in causa anche gli imprenditori agricoli (o di altri settori) che consapevolmente ne usufruiscono, ad esempio penalizzandoli nell'erogazione dei contributi comunitari, ed agevolare invece gli imprenditori seri nella ricerca di manodopera a tempo determinato".

La Toscana sta verificando la possibilità di utilizzare per questo lo strumento del lavoro interinale, pronta ad offrire assistenza attraverso i proprio centri per l'impiego di cui dall'inizio dell'anno è responsabile al posto delle Province.

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