rotate-mobile
Cronaca Centro Storico / Piazza Filippo Brunelleschi

Piazza Brunelleschi, da 23 anni in Italia: "Cerco un lavoro, aiutatemi"

Dopo aver lavorato per 23 anni tra Latina e Firenze si ritrova a 50 anni a dormire tra i cartoni in piazza Brunelleschi. Chiede solo un lavoro qualunque per venir via dalla strada

Ibrahim è egiziano, 50 anni, gli ultimi 23 passati in Italia, oggi è un clandestino. Siamo a Natale, ma questa non è una storia da mettere sotto l’albero. E’ difficile vedere sotto i rami degli abeti illuminati, un uomo solo, che ha perso tutto, e da mesi, quando la notte è senza nuvole, fa dello sbalzo in pietra a fianco dell’ingresso della facoltà di lettere, in piazza Brunelleschi a Firenze, la sua camera da letto, riparandosi nei lastroni sotto i colonnati di Santissima Annunziata quando piove. Un materasso di cartoni ripiegati, un sacco a pelo, berretta in testa, gli abiti del giorno trasformati in pigiama, una coperta di fortuna e lo zaino, la casa di un senzatetto, usato come cuscino. Ed un cellulare sempre acceso in attesa che qualcuno lo chiami per offrirgli un posto di lavoro. “Dormo qui perché è tranquillo, in altre zone della città ho paura, qui invece mi conoscono tutti e la sera ogni tanto passa la volante, così posso riposare diciamo sereno”, racconta Ibrahim all’una di notte, in un italiano pressoché impeccabile, con voce calma e leggera, quieta e gentile, composta; con il linguaggio del corpo perfettamente aderente alla compostezza del suo dire. Parla bene italiano e non potrebbe essere altrimenti. E’ arrivato in Italia nel 1988, volo diretto Il Cairo – Fiumicino. Sbarca in Italia quando aveva 27 anni, fresco di “laurea in giurisprudenza”. Dalla capitale si sposta qualche chilometro più a sud, a Latina. Non sarà una cittadina di passaggio, ci rimarrà per ben 11 anni lavorando come agricoltore. “Lavoravo nei campi, in serra, nelle stalle – racconta – quattordici, a volte anche sedici ore al giorno. A volte in nero, altre sotto contratto. Però la paga era buona e mi davano vitto e alloggio”. Da un’azienda agricola all’altra, le mansioni spesso le stesse, così come la fatica. Una specie di pioniere per i tempi, uno che ha assaggiato con mano cosa vuol dire campare sopra uno di quei mestieri pian piano abbandonati dagli italiani.
Tutto liscio per qualche anno, poi i problemi con un datore di lavoro. Pressioni, minacce ma Ibrahim va dritto fino ad aprire una vertenza sindacale. La storia finisce davanti ad un giudice del lavoro che accorda 16 milioni di lire al cinquantenne egiziano. Vince una battaglia, ma perde la guerra. Con l’agricoltura della zona ha chiuso per sempre, dopo la vertenza non c’è più nessuno disposto ad assumerlo. Così decide di cambiare aria e vita. “A Latina, a Roma, avevo tutto, ma dovevo cambiare, così decisi di venire Firenze. Oltre al fascino per la città, allora mi sembrava potesse offrirmi un sacco di opportunità”. Arrivato a Firenze, comincia a lavorare. Passa in rassegna lavori su lavori: facchino, cucine, cameriere, operaio, manovale. “Ho fatto di tutto, mi sono spaccato la schiena, ma stavo bene, mi pagavano ed il lavoro, a differenza di oggi, non mancava mai”. Tanto che Ibrahim trova una casa in affitto prima in via Nazionale, poi vicino a piazza Donatello, a pochi metri dal Four Seasons. “Vivevo assieme alla mia compagna, lavoravamo sodo ma non ci mancava niente”. Dal 1999 al 2010 tutta una tirata, passando sopra anche ai primi venti gelidi della bolla speculativa americana, su e giù per le scale mobili della vita, per un egiziano che pian piano comincia a sentire Firenze come casa sua.

Ma la crisi economica non molla la presa, si acuisce proprio nel vecchio continente; un susseguirsi di esplosioni a catena minano il lavoro ed il tessuto sociale. Una morsa che stritola tutto e tutti, compreso Ibrahim. Non trova più quei continui lavoretti che gli permettevano di condurre un’esistenza dignitosa, non riesce più a portare lo stipendio a casa. Così nell’agosto 2010 l’affitto prende le fattezze dell’Everest per un marinaio; si ritrova in strada senza niente. La compagna parte per l’Inghilterra a cercare fortuna, lui torna in Egitto per una breve parentesi. Settembre ed ottobre a casa, poi decide di ritornare in Italia. “La mia famiglia in Egitto, grazie a Dio, sta bene”. Ed allora perché tornare, perché riprendere un sentiero così irto e pieno di incognite, ben oltre il limite della sopportazione? “Dopo 23 anni questa è diventata casa mia, ormai ho tutto qui, non posso abbandonare questa vita”. I primi giorni del novembre 2010, agli albori della rivoluzione egiziana e della caduta di Mubarak, è di nuovo a Firenze. Ritorna e riprende da dove aveva lasciato, la strada. Piazza Brunelleschi, il loggiato di Santissima Annunziata durante i primi giorni; ma il freddo pungente si fa sentire ed allora trova ospitalità prima all’Albergo Popolare poi in uno di quei letti predisposti per l’emergenza freddo, tra Caritas e Comune. Così fino ad Aprile 2011, all’arrivo della primavera ritorna all’aperto.

Primavera, estate, autunno. Sono passati 8 mesi, la storia si ricongiunge con le lancette del presente. “Oggi sono un clandestino. Non ho il permesso di soggiorno, quindi non posso lavorare. Non lavoro, non posso pagarmi l’affitto. E così rimango qui, in attesa di buone nuove”. Già, in questa storia c’è anche un altro protagonista. La legge che regola i flussi migratori, la Bossi-Fini. Due i requisiti per rimanere regolarmente dentro i confini del Bel Paese: un lavoro ed un posto dove dormire. Se manca uno dei due requisiti, salta tutto l’impianto. Ibrahim quando avrebbe potuto e dovuto regolarizzare la sua posizione perse il giro. Lavorare in nero, mantenere l’affitto, cambiare titolare ciclicamente. Tutti elementi che cozzano con la normativa. Ed allora dopo la laurea, dopo aver fatto l’agricoltore, dopo aver assaggiato i mille lavori di Firenze, dopo 23 anni in Italia si ritrova clandestino, in una terra amata. Non è rancoroso; certo avrebbe preferito una burocrazia più umana ed attenta alle singolarità, ma non parla con ardore e rabbia e la voce rimane sempre calma ed il parlare educato, come all’inizio della storia, anche ora mentre parla della sua vita di inferno. “Sto qui; ormai in piazza e nella zona mi conoscono tutti e molti mi aiutano ad andare avanti. Un panino, un piatto di pasta, mangio tutti i giorni e parlo con tutti. La polizia è buona, sanno come funziona. In tutte queste persone che mi stanno aiutando ho visto la vera anima italiana, quella che oggi non riconosco in quelle leggi che mi hanno costretto a vivere da clandestino”.  
Queste giornate hanno portato la festa in molte case di Firenze. Non solo le festività natalizie, ma anche il morso freddo e cattivo dell’inverno. I display meteo la sera cominciano a segnare gradi vicini allo zero. Ed Ibrahim è sempre fuori, tra i suoi cartoni, il sacco a pelo ed una copertaccia. “Anche all’Albergo Popolare senza permesso di soggiorno non puoi entrare”. Sarà un inverno duro, questo è certo, anche se in cuor suo, un uomo forgiato nel lavoro, ancora spera in un soffio caldo, una svolta vera. “Prego sempre Allah dentro al mio cuore. Non cerco nient’altro che un lavoro, non ho alcun desiderio oltre a questo. Un lavoro, una casa, la vita di prima. Non mi sono mai spacciato per quello che non sono; non ho mai dichiarato, come molti, di essere un artigiano solo per dormire al caldo. Io voglio lavorare onestamente. Aiutatemi”.

 

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Piazza Brunelleschi, da 23 anni in Italia: "Cerco un lavoro, aiutatemi"

FirenzeToday è in caricamento